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Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo il 9 settembre 1908, in quella che era la residenza di campagna dei genitori. Fu lo scrittore di una generazione, di quella che aveva vent’anni negli Anni Settanta ed era nata appena dopo la sua scomparsa e si identificava con la sua esistenzialità inquieta e problematica. Parte della critica lo lega invece al dopoguerra e al suo controverso e drammatico scenario politico, facendone suo malgrado il baluardo di una contrapposizione ideologica che ormai non ha più ragion d’essere. Liberale della scuola di Leone Ginzburg, Pavese vedeva un pericolo in qualsiasi estremismo, e pur aderendo al PCI non frequentò mai la politica attiva.
Una delle caratteristiche della sua poetica è il legame evidente col territorio, cui dedicherà pagine di viscerale poesia. La sua sensibilità si formò sulla base di un destino inclemente: tre fratelli morti bambini, il padre ucciso da un cancro e la separazione precoce dalla madre che, fragile di salute, lo affidò a una balia fino allo svezzamento. Il senso di perdita e di precarietà lo accompagnò per tutta la vita condizionando le sue scelte e pervadendo le sue opere come un cupo filo conduttore. Studiò a Torino, si appassionò di letteratura anglosassone, in particolare all’opera di Walt Whitman e agli americani Hemingway, Melville e Lee Master di cui più avanti avrebbe anche tradotto alcune opere. Fu uomo di grandi passioni, amorose e politiche, che in modi diversi gli costarono grosse sofferenze.
A differenza di Calvino e Fenoglio non prese parte alla resistenza partigiana, e per questa “macchia” il mondo della cultura lo tenne, fino a che fu in vita, colpevolmente ai margini (ma anche con Fenoglio, pur partigiano, non si comportò meglio). Eppure, in retrospettiva, se rileggiamo La casa in collina, scritto in solitudine mentre in Italia dilagava la guerra civile, ci si accorge che anche Pavese stava combattendo, caricandosi del peso di ciò che sarebbe venuto dopo, dei debiti da pagare, dell’impegno richiesto, della coerenza da mantenere.
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.” (La luna e i falò).
Tra il ’47 e ’48 arrivarono alcuni prestigiosi premi letterari e i primi riconoscimenti ufficiali da parte della critica. Nel 1949 tornò brevemente a Santo Stefano Belbo dove iniziò ad elaborare quella che sarebbe diventata “La luna e i falò“, l’ultima sua opera pubblicata in vita.
Nel 1950 vinse il premio Strega per “La bella Estate“, ma il suo stato d’animo era ormai troppo compromesso.
Morì suicida poco dopo, lasciando un biglietto come epitaffio di una vita faticosa, solitaria e piena di disillusioni:
Cesare Pavese si suicida nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1950, a Torino.
“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.”
Raccolta libri dello scrittore piemontese Cesare Pavese
Poesie (XI)
di Ada Negri, André Breton, Cesare Pavese, Enzo Mandruzzato, Nelly Sachs, Sandro Penna, Seamus Heaney, Sergej Esenin
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