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Vladimir Vladimirovič Majakovskij è stato un poeta, scrittore, drammaturgo, regista teatrale, attore, artista e giornalista sovietico, cantore della rivoluzione d’Ottobre e maggior interprete del nuovo corso intrapreso dalla cultura russa post-rivoluzionaria.
Nato a Bagdati (dal 1940 al 1990 chiamata “Majakovskij”) in Georgia il 19 luglio 1893 (7 luglio nel Calendario Giuliano), figlio di un guardaboschi, orfano di padre a soli sette anni, ebbe un’infanzia difficile e ribelle. A tredici anni si trasferì a Mosca con la madre e le sorelle. Studiò al ginnasio fino al 1908, quando si dedicò all’attività rivoluzionaria.
Aderì al Partito Operaio Socialdemocratico Russo e venne per tre volte arrestato e poi rilasciato dalla polizia zarista. L’artista racconta del terzo arresto nel saggio autobiografico Ja sam (Io da solo). In carcere cominciò anche a scrivere poesie su un quaderno che andò perduto.
Per i ragazzi c'è un sacco di roba da studiare. S'insegna la grammatica a scemi d'ambo i sessi. A me invece m'hanno scacciato dalla quinta classe. Hanno cominciato a sbattermi nelle prigioni di Mosca. Nel vostro piccolo mondo di appartamenti crescono ricciute liriche per le camere da letto. Che vuoi trovarci in queste liriche da cani pechinesi? A me, per esempio, ad amare l'hanno insegnato nelle carceri di Butyrki. M'importa assai della nostalgia per il bosco di Boulogne, e dei sospiri davanti ai panorami marini! Io, ecco, m'innamorai dallo spioncino della cella 103, di fronte all'"Impresa pompe funebri". Chi vede tutti i giorni il sole dice con sufficienza: "Cosa saranno mai quei quattro raggi"! Ma io per un giallo illuminello sopra un muro avrei dato allora qualunque cosa al mondo.
Nel 1911 Majakovskij si iscrisse all’Accademia di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca dove incontrò David Burljuk, che, entusiasmatosi per i suoi versi, gli propose 50 copechi al giorno per scrivere.
Nel maggio del 1913 fu pubblicata la sua prima raccolta di poesie Ja! (Io!) in trecento copie litografate. Tra il 2 e il 4 dicembre l’omonima opera teatrale, dove Majakovskij lanciava la famosa equazione “futurismo=rivoluzione”, fu rappresentata in un piccolo teatro di Pietroburgo.
Aderì al cubo-futurismo russo, firmando nel 1912 insieme ad altri artisti (Burljuk, Kamenskij, Kručёnych, Chlebnikov) il manifesto Schiaffo al gusto del pubblico
«dove veniva dichiarato il più completo distacco dalle formule poetiche del passato, la volontà di una rivoluzione lessicale e sintattica, l’assoluta libertà nell’uso dei caratteri tipografici, formati, carte da stampa, impaginazioni.»
Nel 1915 pubblicò Oblako v stanach (La nuvola in calzoni) e l’anno successivo Flejta-pozvonočnik (Flauto di vertebre).
Ben presto mise la sua arte, così ricca di pathos, al servizio della rivoluzione bolscevica, sostenendo la necessità d’una propaganda che attraverso la poesia divenisse espressione immediata della rivoluzione in atto, in quanto capovolgimento dei valori sentimentali ed ideologici del passato.
Fin dagli esordi della nuova avanguardia futurista, si batté contro il cosiddetto “vecchiume“, ovvero l’arte e la letteratura del passato, proponendo al contrario testi letterari concepiti con un forte senso finalistico (la poesia non aveva senso per lui senza una finalità precisa ed un pubblico definito), e con rivoluzionarie scelte stilistiche esposte nel suo scritto Come far versi del 1926.
Insieme ad altri fondò il giornale Iskusstvo Kommuny, organizzò discussioni e letture di versi nelle fabbriche e nelle officine, al punto che alcuni quartieri operai formarono addirittura gruppi “comunisti-futuristi“. I suoi tentativi, però, trovarono opposizioni e censure da parte prima del regime zarista e poi della dittatura staliniana.
In un primo periodo egli lavorò alla ROSTA, agenzia pubblica delle comunicazioni, e quindi fondò il LEF (Levyi Front Iskusstva, “Fronte di Sinistra delle Arti”) nel 1922 che secondo Majakovskij aveva il compito di
«…unificare il fronte per minare il vecchiume, per andare alla conquista di una nuova cultura […] Il Lef agiterà con la nostra arte le masse, attingendo da loro la loro forza organizzativa. Il LEF combatterà per un’arte che sia costruzione della vita.»
Nel maggio del 1925 partì alla volta dell’America, che raggiungerà nel luglio dello stesso anno per trattenervisi circa tre mesi annotando versi e impressioni su un taccuino. Tornato in URSS pubblicò 22 poesie del cosiddetto Ciclo americano su alcune riviste e giornali nel periodo compreso tra il dicembre del 1925 e il gennaio 1926 e gli scritti in prosa nel 1926 con il titolo di La mia scoperta dell’America.
Da questi scritti l’atteggiamento di Majakovskij nei confronti degli Stati Uniti appare contraddittorio, passa infatti a momenti di entusiasmo e attrazione ad altri di rabbia per le condizioni di semi-schiavitù degli operai delle fabbriche.
Con il poema, 150.000.000, in cui «i versi sono le parole d’ordine, i comizi, le grida della folla… l’azione è il movimento della folla, l’urto delle classi, la lotta delle idee…», e con il dramma, Mistero buffo Majakovskij descrisse quanto di grande e di comico ci fosse nella rivoluzione.
In questa luce vanno considerate le opere di Majakovskij, dai poemi di propaganda proletaria come Bene! e Lenin, alle commedie come La cimice e Il bagno, espressioni critiche del mondo piccolo-borghese e dei problemi della realtà quotidiana.
L’ultima opera di Majakovskij, uno dei punti più alti della sua poesia, è il prologo di un poema incompiuto, A piena voce, del 1930, che potrebbe quasi dirsi il suo testamento spirituale.
Sovente Majakovskij è stato considerato per antonomasia il poeta della Rivoluzione: tra le tantissime voci poetiche che la Russia seppe regalare alla cultura mondiale nei primi decenni del Novecento, quella di Majakovskij è stata spesso vista come la più allineata, la più rispondente ai dettami del regime sovietico.
Majakovskij decise di interrompere violentemente la sua esistenza, con un colpo di pistola al cuore, il 14 aprile del 1930. I motivi che lo condussero al suicidio, non ancora del tutto chiarito, furono «la campagna condotta contro di lui dalla critica di partito, le delusioni politiche e motivi amorosi…» quali la passione per la giovanissima attrice (22 anni) Veronica Polonskaja, sua amante, che rifiutò di divorziare dal marito.