Di carattere quieto e trattenuto, la sua giovinezza venne segnata da una serie di tragedie famigliari molto dolorose: il fratello maggiore, Santus, abbandonò gli studi e divenne un alcolizzato, il più giovane, Andrea, fu arrestato per piccoli furti. Il padre morì per una crisi cardiaca quando Grazia Deledda aveva soltanto 21 anni e la famiglia dovette affrontare difficoltà economiche. Quattro anni più tardi morì anche la sorella Vincenza.
Nel frattempo però la giovane sarda aveva iniziato a scrivere. Pubblicò la sua prima novella nel 1886, all’età di quindici anni, su un giornale nuorese. Due anni dopo cominciò a collaborare con varie altri giornali e riviste, prima sarde e poi romane, di non particolare levatura. Poi pian piano, incomincia a diventare più nota e apprezzata.
Di sé scriveva
Io non sogno la gloria per un sentimento di vanità e di egoismo, ma perché amo intensamente il mio paese, e sogno di poter un giorno irradiare con un mite raggio le fosche ombrie dei nostri boschi, di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza.
Avrò tra poco vent’anni, a trenta voglio avere raggiunto il mio sogno radioso quale è quello di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda.
Sono piccina piccina, sa, sono piccola anche in confronto delle donne sarde che sono piccolissime, ma sono ardita e coraggiosa come un gigante e non temo le battaglie intellettuali.
Nell’ottobre del 1899 la scrittrice si trasferì a Roma e l’anno seguente sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, conosciuto a Cagliari due mesi prima.
Nel frattempo il verismo della sua narrativa, i toni cupi e l’ansia di liberazione delle sue opere, le storie di passioni primitive che racconta nei suoi romanzi fecero breccia nella critica, anche all’estero e il 10 dicembre 1926 venne la consacrazione più alta per uno scrittore: il conferimento del premio Nobel per la letteratura:
«per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano».
Attualmente è l’unica scrittrice donna italiana ad aver ricevuto tale riconoscimento.
Un tumore al seno di cui soffriva da tempo la portò alla morte il 15 o 16 agosto (dipende dalle fonti) del 1936, quasi dieci anni dopo la vittoria del Nobel.