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Octavio Paz muore il 20 aprile 1998 a Città del Messico, era nato il 31 marzo 1914. Era un poeta, saggista e diplomatico messicano, e se una cosa spicca, tra l’altro ovviamente, è che gli è stato conferito il Premio Nobel per la letteratura nel 1990. Considerato il poeta di lingua ispanica più importante della seconda metà del Novecento, sia come poeta che come saggista, nell’arco dell’intero secolo la sua fama letteraria è seconda solo a quella di Juan Ramón Jiménez, Vicente Huidobro, César Vallejo e Pablo Neruda.
Comincia molto presto a scrivere e nel 1937 partecipa al II Congresso internazionale degli scrittori antifascisti di Valencia (Spagna). Trascorre gran parte della sua esistenza tra Spagna e Francia: in Spagna sostiene la lotta dei repubblicani durante la Guerra civile spagnola – anche se va ricordato che in seguito prenderà le distanze dal comunismo.
Rientrato in Messico, nel 1938 fonda e dirige “Taller”, una rivista che segnala la comparsa di una nuova generazione di scrittori messicani. Nel 1943 si trasferisce negli Stati Uniti e si immerge nella poesia modernista anglo-americana.
Nel 1945 Paz entra nel servizio diplomatico messicano: in questi anni scrive “Il labirinto della solitudine“, un saggio sull’identità messicana. Sposa poi Elena Garro, dalla quale ha una figlia.
Il suo lavoro “L’arco e la lira” (1956), è un testo fondamentale che ci fa capire la poetica di questo scrittore messicano: elementi come poesia, lingua, ritmo, consacrazione del momento, dell’oggi, del presente, costituiscono interrogativi ossessivi su questo saggio. D’altra parte, il suo lavoro “Pietra del sole”, pubblicato nel 1957, è una delle più vaste e importanti poesie latinoamericane, dove vari motivi lirici (mondo, relazione io-tu, presente, istantaneo, ricerca, erotismo, …) si mescolano alla riflessione del poeta su di esso creativo processi.
Viene inviato dal governo messicano in Francia, dove ha modo di avvicinarsi al surrealismo. Durante la sua permanenza in Francia Octavio Paz lavora inoltre a fianco di André Breton e Benjamin Peret.
Ottiene il posto di ambasciatore in Messico e in India nel 1962: lascia l’incarico nel 1968, dopo il Massacro di Tlatelolco (2 ottobre 1968), proprio per protestare contro la sanguinosa repressione avvenuta ai danni degli studenti manifestanti.
“Bianca” (1967) costituisce una poesia spaziale, la cui lettura può essere fatta in modi diversi, con un grande contenuto erotico e un grande interesse linguistico. Il suo lavoro “Passato in chiaro” (1978) è un itinerario, una ricerca che inizia con la meditazione e la calma sul processo di scrittura stesso.