La ricerca del giorno su #babelezon
Alda Merini si è spenta il 1° novembre 2009 all’Ospedale San Paolo di Milano, in seguito ad un tumore, fumando le sue amatissime ed inseparabili sigarette, una dietro l’altra fino all’ultimo, incurante dei divieti.
Era nata a Milano il 21 marzo 1931, primo giorno di primavera. Alda nasce da una famiglia di origini modeste: il padre, Nemo, se la tiene vicino quando riempie i registri da assicuratore, con la sua grafia perfetta. Alda lo guarda rapita e l’esercizio della scrittura le si imprime dentro in modo decisivo. Alle elementari è la prima della classe e a dieci anni vince il premio Giovani Poetesse Italiane e il primo premio le fu consegnato nientemeno che dalla regina d’Italia, Maria José. L’esperienza della gloria poetica fu quindi precoce. Quando a dodici anni viene sfollata insieme alla madre Emilia a Vercelli, qui la povertà, la miseria, la paura, interrompe gli studi e questo le peserà tantissimo. A quindici anni esordisce come autrice spinta da Giacinto Spagnoletti e intanto studia anche pianoforte.
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
(da “Vuoto d’amore”)
Nel 1947 ha una relazione molto passionale con lo scrittore Giorgio Manganelli, una storia tanto bella quanto impossibile (Manganelli era già sposato e con figlia).
Nello stesso anno c’è il suo primo internamento psichiatrico: Alda le chiama «le prime ombre della mente». Una personalità così sopra le righe sembrava fatalmente destinata al disturbo bipolare. In questo, Alda sembra ripercorrere le orme di Torquato Tasso e Dino Campana.
Comunque i suoi esordi poetici sono ben accolti da Romanò, Spagnoletti, Corti, Manganelli, Schweiller, Turoldo, Erba, Quasimodo, Pasolini e altri.
Nel 1953 Alda Merini sposa Ettore Carniti, un ricco panettiere, un uomo diversissimo da lei e per nulla interessato alla poesia, cosa che creerà numerose incomprensioni e tensioni. La poesia è infatti l’amante di Alda Merini, che trascura tutte le altre incombenze quotidiane, comprese le figlie che nasceranno dal matrimonio: Emanuela, Flavia, Barbara e Simonetta.
Pubblica La presenza di Orfeo, seguito pochi anni dopo da Nozze Romane e Tu sei Pietro, dedicata al medico curante di Emanuela, la prima delle sue tre figlie.
Dicevamo della biografia da poetessa maledetta. Alda Merini nel 1961, a seguito di violente crisi depressive, viene internata nel manicomio Paolo Pini fino al 1972. Sono anni in cui salute e malattia mentale si avvicendano vertiginosamente, ma sono anche gli anni in cui la sua vocazione poetica viene temprata nella carne dell’anima, per usare una metafora a lei cara.
Nel 1979, quando riprende a comporre, qualcosa è profondamente mutato in lei e quei versi saranno raccolti in La Terra Santa (1984), una sorta di terra promessa ricercata attraverso la poesia e la scrittura. È la raccolta capolavoro di Alda Merini.
Come ha ben detto lo scrittore Giorgio Manganelli nella prefazione a L’altra verità. Diario di una diversa, stupendo commento prosastico della Merini alla propria esperienza manicomiale, non si tratta di una testimonianza, ma di «una ricognizione, per epifanie, deliri, nenie, canzoni, disvelamenti e apparizioni, di uno spazio – non un luogo – in cui, venendo meno consuetudine e accortezza quotidiana, irrompe il naturale inferno e il naturale luminoso dell’essere umano».
Il marito da lei tanto amato muore nel 1981 e così Alda Merini sposa Michele Pierri, anch’egli poeta, e si sposta a Taranto, dove scrive La gazza ladra e L’altra verità. Diario di una diversa, il suo primo libro in prosa.
Fa ritorno a Milano nel 1986 e attraverso l’editore Vanni Scheiwiller pubblica Fogli bianchi e Testamento.
Fu Giovanni Raboni a interrompere il silenzio sulla nuove poesie di Alda Merini, parlando delle poesie di Testamento come «crepe istantanee e terrificanti, bagliori di un altro mondo» (Crocetti 1988) e sul Corriere della sera, diceva «avvincente, perentoria, irrecusabile è la chiamata di questa voce che sembra rivoltare la pietra di un sepolcro» (21 gennaio 1990).
Da quel momento in poi, rotto il silenzio, Alda Merini diventa il personaggio ideale per un fenomeno mediatico a tratti incontrollabile tale da renderla famosissima. Naturalmente tutti cominciano a fiutare in lei occasioni di profitto economico: dagli editori che fanno a gara per scovare poesie da pubblicare a chi la invita ad eventi.
Nel 1993 le viene assegnato il Premio Librex-Guggenheim Eugenio Montale. Anche gli ultimi anni di Alda Merini sono prodighi di titoli e opere famose, da La pazza della porta accanto del 1995 a Ballate non pagate.
Nonostante la notorietà e i premi e le frequentazioni televisive (Maurizio Costanzo Show), Alda Merini versa sempre in condizioni economiche difficili. Grazie a Paolo Volponi, fortunatamente, ottiene un vitalizio nel 1995 (legge Bacchelli).
Prosegue anche il travolgente successo editoriale. Grande successo ha Reato di vita, autobiografia e poesia, mentre La vita facile del 1996 le vale prima il Premio Viareggio, poi il Premio Elsa Morante. Molti dei più celebri aforismi di Alda Merini sono invece contenuti in La Volpe e il sipario e in Aforismi e magie, non scritti ma dettati spontaneamente ad altri.
“Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio.
Alda Merini
Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno…. per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”.