“Se qualcuno mi chiedesse di descrivermi in una sola parola, sceglierei depravata“. Lisa Taddeo sa come evitare i giri di parole. Arriva dritta al punto e sicuramente ci prova gusto a non usare mezzi termini, ma a selezionare quelli più ruvidi e sconvolgenti. Su questa scia decide di impostare il suo nuovo libro, Animale (Mondadori, traduzione di Monica Pareschi), pubblicato dopo il successo dell’acclamato (più all’estero che in Italia) Tre donne.
A differenza del suo primo lavoro – in cui l’autrice aveva raccolto storie di donne sul desiderio – questa volta Taddeo ha scelto di ricorrere alla forma romanzesca. Ma i temi, in fondo, sono molto vicini a quelli del precedente saggio: il consenso, le relazioni, il sesso e la natura misteriosa del desiderio femminile, che può appassire da un momento all’altro o spingersi in luoghi inimmaginabili.
Come in Tre donne, anche in Animale Taddeo ci suggerisce l’idea che ogni donna viva con un’ombra dentro, una sorta di trauma originario legato alla presenza maschile. È il trauma che ci definisce come persone e che condiziona le nostre scelte. Ma non solo: è il trauma che chiama e genera nuovi traumi. Si mette quindi in atto uno schema disfunzionale per il quale la vulnerabilità diventa un magnete che ci rende ancora più esposti e fragili.
Sempre dall’approfondimento del New Yorker: “Il trauma ha la meglio su tutte le altre identità, riduce la personalità e la ricostruisce a propria immagine. Con la trama del trauma, la logica è questa: evoca la ferita e crederemo che un corpo, una persona, l’abbia sopportata. Trauma è diventato sinonimo di retroscena“. E così facendo ha perso il suo significato, svuotandosi di senso e diventando spesso soltanto un elemento retorico.
Ecco dunque che in questo contesto il libro di Taddeo assume un valore più grande, fornendo una preziosa occasione per riflettere non solo su come i nostri traumi ci definiscano, ma anche sul sotterraneo bisogno che abbiamo di mitizzarli. Come se solo essi potessero legittimarci a essere quello che siamo. Anche se siamo il nostro peggio, anche se ci riduciamo a essere non più umani: animali.