Si è spento sabato 3 giugno Vincenzo Mantovani, uno dei più grandi traduttori editoriali italiani, conosciuto come “la voce italiana” di Philip Roth e di numerosi altri scrittori statunitensi come Ernest Hemingway, Saul Bellow, Francis Scott Fitzgerald, Jack Kerouac, Harper Lee e Truman Capote.
La sua scomparsa è avvenuta a causa di una malattia di lunga durata. Nato a Ferrara nel 1935, Mantovani ha iniziato la sua carriera di traduttore quasi per caso, ma è diventato uno dei pionieri nel campo della traduzione editoriale. Aveva dichiarato di essere un traduttore appassionato del mestiere e non un surrogato in una casa editrice. Ha espresso ambizioni smisurate come quella di voler ritradurre Moby-Dick o tutte le opere di Shakespeare. Durante la sua carriera, ha compiuto imprese notevoli. Dopo i suoi primi lavori, come la traduzione di “L’abitudine di amare” di Doris Lessing per Feltrinelli negli anni Cinquanta, ha abbandonato la professione di giornalista per trasferirsi a Milano e dedicarsi completamente alla traduzione. Secondo sua figlia Alice Mantovani, il suono che ricordano di lui era il ticchettio della sua macchina per scrivere, e Vincenzo era un punto di riferimento per la sua vasta conoscenza del mondo, anche se non viaggiava spesso, grazie alla sua passione per la lettura di numerosi libri.
La sua vasta bibliografia di traduzioni rothiane per Einaudi è di una portata immensa. Ha iniziato con la leggendaria traduzione di “Pastorale americana” nel 1998, seguita da “Ho sposato un comunista” (2000), “Lo scrittore fantasma” (2002), “L’animale morente” (2002), “Zuckerman scatenato” (2004), “La lezione di anatomia” (2006), “La controvita” (2010), “La macchia umana” (2011) e molti altri titoli. Nonostante non avesse mai sentito la necessità di incontrare personalmente lo scrittore, Mantovani considerava Philip Roth uno degli autori più grandi del nostro tempo, dicendo: “Viviamo da reclusi allo stesso modo e non ho mai avuto l’esigenza di incontrarlo. Temo che sia un uomo impossibile, ma sicuramente è tra i massimi autori del nostro tempo”. È impossibile ricordare qui tutte le sue traduzioni e gli editori con cui ha collaborato. Ha tradotto “Ravelstein” di Saul Bellow per Mondadori nel 2000 e ha curato la riedizione de “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee per Feltrinelli nel 2014, così come il suo seguito “Va’, metti una sentinella” nel 2015. Ha anche tradotto i più recenti titoli di Richard Ford per Feltrinelli, tra cui “Canada” nel 2013, “Tutto potrebbe andare molto peggio” nel 2015 e “Tra loro” nel 2017.
Amava ricordare le imprese monumentali, come le pagine quasi mille del romanzo “JR” di William Gaddis per Alet nel 2009 («Quindici anni di duro lavoro, anche per trovare un editore: mi sono fatto commesso viaggiatore per Gaddis»), e di recente era entusiasta della grande sfida di curare la nuova traduzione dell’opera omnia di Kurt Vonnegut per Bompiani, che includeva tutti i romanzi e ciò che Mantovani affettuosamente chiamava “il Vonneguttone”, un volume di Tutti i racconti con ben 1.295 pagine. Andrea Tramontana, l’editor di Bompiani con cui Mantovani collaborava per l’opera, ricorda l’affinità tra lo spirito impegnato e ironico di Vonnegut e quello del traduttore, sempre dotato di umorismo. Mantovani non smetteva mai di pensare al futuro, considerando le traduzioni per i giovani, un mondo che amava e che gli suscitava curiosità. A marzo aveva consegnato la nuova versione di “Mattatoio n. 5”, che sarà pubblicata nel 2024, e aveva continuato a lavorare alla revisione nonostante la malattia, fino alla settimana scorsa.