Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo
Paolo Emanuele Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992) è stato un magistrato italiano, vittima di Cosa nostra nella strage di via D’Amelio assieme ai cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto alla vicenda fu l’agente Antonino Vullo, che stava andando a parcheggiare una delle auto al momento dell’esplosione. Assieme ai colleghi e amici Rocco Chinnici, Antonino Caponnetto e Giovanni Falcone, Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale.
L’attentato, passato alla storia come una delle più orrende stragi filmate dalle cosche, è stato compiuto alle 17 in punto, in via Mariano D’Amelio. Quando l’artificiere di Cosa Nostra attivò il radiocomando che fece saltare in aria l’automobile imbottita di esplosivo parcheggiata davanti al portone d’ingresso, il magistrato stava andando a trovare l’anziana madre. L’esplosione, di una violenza inaudita, venne avvertita in molte altre zone della città di Palermo.
Quando cominciarono ad arrivare le Ambulanze, i Vigili del Fuoco e i mezzi delle forze dell’ordine, i primi giunti sul posto stentavano a credere a cosa avessero sotto gli occhi: in quello scenario da apocalisse, i primi soccorritori trovarono una ventina d’automobili che, avvolte dalle fiamme, bruciavano, e resti umani sull’asfalto. L’edificio in cui era diretto Borsellino era sventrato alla base.
Quarantacinque giorni prima, il 23 maggio 1992, Cosa Nostra aveva fatto saltare in aria un tratto di A29, l’autostrada per Palermo, all’altezza dello svincolo per Capaci, uccidendo il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.
Da Capaci in poi, Cosa Nostra decide di adottare modalità strategiche di tipo terroristico, come in un passato aveva già fatto con Dalla Chiesa negli anni ’80, e come avvenne nel fallito attentato all’Addaura nel 1989. La strategia che scatenò l’attacco mafioso, culminata con le stragi del 1992, rispondeva a una finalità “politica”. Il senso di quel piano di morte emerse dalle parole che Totò Riina avrebe usato nel vertice della cupola in cui furono decisi delitti e attentati:
Bisogna fare prima la guerra per fare poi la pace
La risposta ferma e orgogliosa di Palermo, e dell’Italia intera, è tutta in una frase che campeggiava dai lenzuoli appesi alle finestre e che è rimasta famosa:
Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe