“La guerra è uno stato naturale, solo che in Occidente credevamo, stupidamente, fosse qualcosa di strano, che viene emarginato dalle nostre vite. Ma quando guardiamo al passato ci rendiamo conto che da Troia a oggi è cambiata solo la tecnica, il meccanismo però è lo stesso: l’uomo è un animale pericoloso che affronta e risolve i suoi problemi con violenza, con la legge del più forte”. E’ lapidario lo scrittore e giornalista spagnolo Arturo Pérez-Reverte, protagonista del 30/o festival Dedica.
“Il peccato dell’Occidente è essersene dimenticato, o, peggio, che vogliamo dimenticarlo – ha aggiunto -. Dimentichiamo che l’essere umano ogni tanto si “risveglia” (come il Vesuvio sul quale continuano a costruire dimenticando che è un vulcano) e ritorna a essere l’animale pericoloso che è sempre stato, che lo faccia con un cavallo di legno o con i droni”. Inevitabile il riferimento all’Ucraina: “Quello che accade lì ora è naturale, non lo è, invece, parlarne in termini civili come facciamo noi (e deve essere così, ci mancherebbe) perché l’umanità non vive così – ha proseguito – Siccome non leggiamo più libri abbiamo dimenticato, perduto la capacità di interpretare il presente alla luce del passato”. Dunque, “il problema per l’Europa non è la guerra in Ucraina ma il fatto che abbia dimenticato che la guerra in Ucraina è una costante nella storia dell’ umanità. Il vero problema è la mancanza di memoria – ha concluso – I libri aiuterebbero a ricordare, a riconoscere ma siccome non leggiamo più siamo ‘orfani’ dei vari Putin, Trump, degli ayatollah”.
Pérez-Reverte si è soffermato anche sul ruolo della letteratura, un ambito che “non ha nessun futuro, ma ha un futuro la narrazione perché l’essere umano avrà sempre bisogno di narrazione come avviene sin da quando si riuniva attorno al fuoco”. Però, “il libro è condannato a morte: non è un dramma, sono pessimista ma non drammatico, perché è un fatto storico”.
“Naturalmente ci sarà gente che manterrà viva la fede ai libri a lungo, ma il pubblico che ha bisogno di sentirsi narrare storie non le cercherà nei libri – ha precisato lo scrittore – Non so quanto ci vorrà: venti, trenta, quaranta anni, io non sarò più qui per vederlo, ma non è importante. Se leggiamo il teatro greco o latino capiamo che era già tutto lì. Iliade, Odissea, Eneide e poi Dante, Shakespeare, Cervantes, Calvino: quello che hanno fatto i grandi è già tutto lì, adattato al contesto storico esistenziale”. “I grandi libri dell’umanità rimarranno sempre – ha concluso – rimarranno ma il supporto sarà diverso, saranno film, videogiochi, serie tv, realtà virtuale, ma è una questione temporanea e secondaria, perché i narratori ci saranno sempre, cambieranno i supporti narrativi”.