(di Gioia Giudici) Sembra un prequel della famosa saga dei Malaussène, ma è “un libro sull’amicizia. E scrivendolo, mi sono accorto che avevo usato quasi tutti i miei amici, nei Malaussène, facendoli diventare dei personaggi”. Così Daniel Pennac parla con l’ANSA del suo ultimo romanzo “Il mio assassino”, edito da Feltrinelli, che presenterà domani a Milano nell’evento di chiusura di Bookcity al teatro Franco Parenti.
Protagonista del libro è Nonnino, che diventerà il formidabile malfattore di ‘Capolinea Malaussène’, e ha solo quattordici anni quando prepara il primo colpo della sua magistrale carriera di ricattatore e criminale. Nel seguirne i primi passi, Pennac intreccia invenzioni letterarie e autobiografia rivelando il suo modo di lavorare e le sue fonti di ispirazione per creare un personaggio. All’ANSA spiega che ha scelto di rivelare l’identità delle persone che hanno dato vita ai leggendari personaggi della sua saga, che ha avuto inizio nel 1985 con ‘Il paradiso degli orchi’, “perché mi mancano. La maggior parte di quelle persone è morta. E ne ho nostalgia. Ho quindi deciso di passare un po’ di tempo con loro, di passare dei momenti aggiuntivi con loro, rispetto a quelli che la vita ci ha dato.
Come per farli resuscitare, a mio beneficio, per tutto il tempo della scrittura di questo libro. E ha funzionato!”.
Al centro della saga in 8 volumi, – di cui è protagonista Benjamin Malaussène, di professione ‘capro espiratorio’ e capofamiglia di una grande tribù, composta da almeno dieci tra fratellastri, sorellastre, nipoti e cane – non solo le avventure di questa strampalata banda, ma un intero quartiere parigino, Belleville: “ci sono arrivato nel 1969 – racconta il 79enne ex insegnante – e ci abito ancora. È stato, in passato, un quartiere di piccole manifatture, di artigiani, di tornitori e fresatori, oggi tutto questo non c’è più. Ma era, già ai tempi, un quartiere internazionale, e lo è rimasto. Un quartiere che ospita tutte le popolazioni, tutte le etnie, tutte le religioni, tutte le cucine, persone di ogni età e ogni genere. Questo non è cambiato. Possiamo dire che quel quartiere è la vita stessa”.
‘Guerra e pace’ è il tema al centro dell’edizione 2024 di Bookcity, ma Pennac non crede che in tempi di crisi la scrittura debba diventare necessariamente ‘engagé’: “La letteratura non “diventa”. È quello che è – sottolinea – anche in funzione dello spirito di un’epoca. Ma l’autore fa quello che vuole: se vuole scrivere un libro che sia l’eco diretta dello Zeitgeist, è libero di farlo. Ne “Il mio assassino” c’è un capitolo che è la descrizione precisa dello spirito dei nostri tempi. Ma il carattere politico di un romanzo dipende più che altro dai lettori e da come leggono il libro. Io non posso impedire a un lettore, consapevole dei pericoli del tempo in cui viviamo, di fare una lettura politica di un romanzo, anche quando non si tratta di un romanzo politico. La gente è talmente angosciata dalla nostra epoca, dalla vittoria dell’ individualismo assassino che ha conquistato l’America del Nord, l’America Latina e che presto arriverà da noi, che l’autore non può impedire ai lettori di fare una lettura politica anche di un libro non dichiaratamente politico”. Detto questo, “io non adatto la mia scrittura allo spirito dei tempi. Io sono uno scrittore popolare che racconta delle storie – storie che possono essere percepite dai lettori come più o meno politiche”.
La sua popolarità è strettamente legata alla saga che gli ha dato la fama, con i suoi personaggi atipici, antieroi moderni, poveracci qualsiasi di ogni periferia metropolitana, intellettuali senza soldi e bambini, tanti, tanti bambini, che non avrà – dice – un seguito “perché si è conclusa con il libro precedente, Capolinea Malaussène. Questo è un altro libro. È, ripeto, un libro sull’amicizia, e su come un romanziere – conclude – può usare l’amicizia quando crea personaggi di finzione”.