Quando morì Federico Fellini “Stefano Benni mi ha detto che è morto perché non poteva più sognare. Ed era vero, era clinicamente vero. I farmaci che prendeva Fellini per la sua malattia gli avevano impedito di continuare a sognare. Per trent’anni aveva appuntato i suoi sogni in un diario. Disegnava e dipingeva. E di colpo non ha più potuto sognare. A Stefano è successa la stessa cosa, ma con la risata: di colpo la malattia gli ha tolto la capacità di ridere, quella risata che per tutta la sua vita lui ci ha offerto”. Lo ha detto lo scrittore francese Daniel Pennac ricordando l’amico Stefano Benni durante la camera ardente all’Archiginnasio.
Pennac ha regalato ai familiari di Benni e ai tanti cittadini presenti un omaggio commosso e surreale, nel suo stile narrativo. Pennac ha rievocato scherzi e invenzioni condivise: “Il giorno in cui mi hai fatto ridere di più – ha detto – è stato quando mi hai detto che avresti aperto uno studio di psicanalista per curare gli insetti e gli animali: una formica individualista, un cane che non sopportava l’odore del padrone, un elefante complessato per la sua proboscide”. Poi l’immagine finale, sospesa tra poesia e ironia: “Questa notte ho visto Stefano, ha aperto il suo studio di psicanalista lassù. Il suo primo cliente è un angelo che soffre di vertigini.
Domani riceverà Dio, che è depresso perché avrebbe voluto un giorno in più per completare la creazione e rendere l’uomo un po’ meno stupido, meno aggressivo, più tranquillo”. Pennac ha concluso con un saluto tenero e ironico: “Coraggio, caro Stefano, con Dio. E presto arriveremo tutti lì, insieme a te”.