(di Mauretta Capuano) – ROMA, 05 MAG – È ancora presto per dire come e quanto la pandemia abbia inciso nell’immaginario, ma già si vede che ha lasciato un segno. “Lo vediamo nel cinema, nella letteratura, ma non siamo ancora in un’ondata di piena delle produzioni artistiche legate a quella situazione. Ci vorrà ancora molto. Adesso tanti artisti e scrittori cominciano a fare i conti, a cercare di elaborare se e come includere quel passaggio. I tempi di rielaborazione sono necessari. Negli ultimi due anni sono uscite molte cose sul Bataclan, ci sono voluti diversi anni da quel 13 novembre 2015 ed è sensato” dice all’ANSA Paolo Giordano, l’autore de La solitudine de i numeri primi, Premio Strega e Premio Campiello Opera Prima, con un dottorato in fisica, che ci ha mostrato la faccia e i pericoli del “primo virus nuovo a manifestarsi così velocemente su scala globale” nell’instant book Nel contagio (Le Vele Einaudi), uscito nel 2020.
Dopo Tasmania (Einaudi), il suo ultimo romanzo, lo stesso Giordano sta ragionando su un nuovo libro e l’emergenza Covid, dice, “è uno dei pensieri che ho. In Tasmania volutamente mi sono fermato all’inizio della pandemia, perché mi sentivo pronto solo per accoglierne la sensazione in cui ero in quel momento, era troppo presto per entrare lì. Adesso comincio a ragionare su come invece si potrebbe farlo. Mi sembra ineludibile che entri la pandemia” racconta.
Se al momento non è possibile fare un reale consuntivo, per Giordano in futuro “molta parte verrà fatta dall’arte”. “Tutto un altro capitolo sarà capire il lascito, non su noi adulti che siamo entrati in un certo modo dentro questa situazione, ma per chi era più giovane in quegli anni. Da lì verranno secondo me le visioni più sorprendenti” afferma lo scrittore.
In realtà “siamo completamente dentro a una crisi più sistemica, più approfondita che il Covid ha portato. Ad esempio sul disagio psicologico che questi anni hanno lasciato soprattutto sulle generazioni giovani non abbiamo neanche veramente iniziato ancora a guardarci dentro. Lo sentiamo tutti che ci sono delle conseguenze di questo. Esistono altri fragili anche in questa lunga coda della pandemia. I ragazzi e le ragazze, non dico tanto i bambini, ma chi ha attraversato questo in una fase di formazione, secondo me ne porterà i segni. Ci sono ormai molti segnali. Sono arrivati da psichiatri, psicologi molti allarmi”, sottolinea Giordano. Tutti abbiamo sofferto in modo diverso, ma “credo che un elemento che ci ha lasciato tutti scossi, perplessi, è che abbiamo visto in atto ad esempio la gravità delle polarizzazioni e dei conflitti anche sociali che possono accadere. Andrebbe veramente fatta una lettura molto calma e analitica dell’interazione fra i media e la popolazione e quello che è successo in pandemia”. E aggiunge che “c’è tutta una serie di elementi specifici strutturali sui quali la pandemia ci presenterà un lungo conto”.
Giordano, in ogni caso, non crede “che tutto sia tornato uguale a prima, tutt’altro. Ci sono molte scuole che non hanno ripristinato i colloqui individuali con i genitori in presenza.
Tutto è diventato forse più efficiente, c’è una fantasia di razionalizzazione, di alcune cose che la pandemia ci ha spinto a fare, che forse è vera, però poi cambiano dei meccanismi di interazione basilari sui quali ci siamo interrogati abbastanza? È tutto ancora in divenire e va elaborato”.
Ha portato qualcosa di buono questa esperienza dolorosa? “Sto un po’ alla larga da questa idea. Per me comunque la pandemia resta innanzitutto un passaggio in cui sono morte tantissime persone e tantissime altre hanno perso affetti o hanno passato delle difficili vicende sanitarie ed esistenziali”, ma “ci sarà un punto in cui capiremo comunque che non è stato invano, che una preparazione in più a certi tipi di rischi e di situazioni questa esperienza l’ha fornita”, conclude lo scrittore. .