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Pubblicado da Collezionista di News in 10 Dicembre 2025
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    (di Alessandra Baldini) Un saggio sul New Yorker getta ombre su Oliver Sacks: il celebre neurologo di Risvegli e l’Uomo che Scambiò la Moglie per un Cappello avrebbe abbellito e proiettato se stesso nei casi clinici al centro dei suoi celebri saggi.
        Morto nel 2015 a 85 anni e solo da ottuagenuario in grado di rivelare in pubblico di essere gay, Sacks per decenni è stato considerato un medico-scrittore capace di trasformare casi clinici in parabole umane, restituendo la dignità a pazienti spesso confinati ai margini della neurologia. L’anno scorso le sue carte sono state consegnate alla New York Public Library ed è sulla base degli scritti del neurologo e di altre testimonianze che il New Yorker getta una luce più complessa sul suo lavoro. Secondo la rivista, Sacks drammatizzò e talvolta inventò elementi delle storie che lo hanno reso celebre – un esempio per sua ammissione “flagrante” è quello dei gemelli autistici capaci di creare sequenze di numeri primi in L’Uomo che Scambiò la Moglie per un Cappello – proiettando nei suoi pazienti conflitti interiori, solitudini e ferite che lo portarono sul divano dell’analista praticamente fino alla morte.
        Molti pazienti si riconobbero nei ritratti di Sacks e gli rimasero affezionati per anni. Uno di loro, Mort Doran, il chirurgo con la sindrome di Tourette descritto in L’Antropologo su Marte, aveva notato un particolare falso nella descrizione del suo caso ma lasciò correre pensando che “forse è quel che fanno gli scrittori”. Eppure, come notò la moglie del protagonista del racconto che dà il titolo a L’Uomo che Scambio’ la Moglie per un Cappello, le interpretazioni del medico potevano divergere sensibilmente dalla realtà clinica. Sacks, scrive il New Yorker, ammise più volte nei suoi diari di aver “commesso errori” e di aver provato “un severo e duraturo auto-rimprovero” per come negli anni Settanta aveva raccontato i pazienti di Risvegli, il libro che lo rese famoso e che fu portato al cinema da Robin Williams e Robert De Niro nonostante la diffidenza della comunità neurologica. La tensione tra accuratezza clinica e invenzione letteraria era ben presente al neurologo che nei diari definiva il successo di Cappello una fonte di “colpa ancora maggiore”.
        Il nuovo ritratto non cancella i meriti di Sacks: un ponte tra medicina e umanesimo che ha permesso a milioni di lettori di comprendere e rispettare persone affette da disturbi stigmatizzati. Secondo il New Yorker fu la vocazione letteraria che condusse Sacks a romanzare l’esperienza clinica piegandola al bisogno emotivo di dare un senso alla propria storia personale. In una lettera al fratello Marcus, Sacks definisce Cappello “un libro metà scienza e metà fiabe, ma con una sua fedeltà” e aggiunge: “È quello che faccio per tenere lontani i demoni della solitudine, della noia e della disperazione”. Molti pazienti – scrive il settimanale – avrebbero funzionato come specchi nei quali il medico rifletteva lo sforzo inconscio di rappresentare la sua sensazione di essere “sepolto vivo” negli anni più difficili quando, su pressione di una madre omofoba, aveva respinto la propria omosessualità.
       

    — Fonte: RSS di ANSA
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