(di Paolo Petroni) FREDIANO SESSI, ”OLTRE AUSCHWITZ – Europa orientale, l’Olocausto rimosso” (MARSILIO, pp. 416 – 30,00 euro) – Nel marzo del 1942 il 75% delle vittime dell’Olocausto era ancora in vita; verso la fine di febbraio del 1943 l’ 80% degli ebrei dell’Europa dell’est e dell’ovest era già morto, scrive Frediano Sessi, studioso dell’Olocausto, per far capire quali effetti ebbe nell’arco di un solo anno la cosiddetta Aktion Reinhardt e l’accelerazione che impose alla Soluzione finale, principalmente nei centri di sterminio di Treblinka, Sobibor e Belzec.
Se oramai abitualmente si identifica la Shoah con Auschwitz, in realtà i campi di sterminio nazisti furono sei, con, oltre ai quattro già citati, Chelmno e Majdanek, ben diversi dai campi di concentramento, perché erano per i deportati solo luoghi di passaggio in cui non era prevista alcuna possibilità di sopravvivenza. Luoghi di cui non rimane quasi traccia di quanto vi accadde perché tutto fu metodicamente distrutto dai nazisti prima dell’arrivo degli alleati, dell’esercito russo.
In questo la grande importanza di uno studio come questo di Sessi, che è andato rifacendosi a importanti ricerche storiografiche precedenti, ai documenti oggi reperibili negli archivi, agli atti dei processi, a cominciare da Norimberga, tenutisi nel dopoguerra e naturalmente alle testimonianze dei sopravvissuti, che comunque vi furono, anche grazie a momenti di ribellione dei prigionieri. Le due rivolte principali, collettive che si svolsero a Sobibor e a Treblinka furono l’occasione per orrendi massacri dei ribelli in gran parte presto catturati, ma anche la possibilità per alcune decine di prigionieri di riuscire a fuggire e, dopo la fine della guerra, di ricostruire le realtà e gli eventi di quelle fabbriche della morte di cui non restavano che i resti delle esplosioni usate per distruggerne ogni traccia.
Sessi va appunto oltre Auschwitz, cui ha dedicato negli anni molti libri, e racconta la storia degli altri cinque campi di sterminio, quasi rimossi dalla memoria collettiva e lo fa in modo molto articolato, paragrafo dopo paragrafo, ricostruendo i metodi di annientamento, cercando di calcolare il numero delle vittime, le evasioni e ribellioni, prima la costruzione, poi la liquidazione finale del campo e cita con nome e cognome, ricostruendone un minimo di biografia, i poliziotti e tutte le SS in servizio in ogni campo, per una precisa denuncia e testimonianza storica che evita sempre di cadere nel generico o non documentabile.
Proprio per questo, nella terza parte del libro, ecco i resoconti e la storia degli scavi archeologici nei vari campi per scoprire e verificare quanto possibile quel che si era venuto a sapere, poi la costituzione dei vari Luoghi della memoria legati ai cinque campi. a questo aggiunge un excursus sui processi nel dopoguerra ai responsabili e infine, nell’Appendice, ecco una cronologia ragionata dello sterminio degli ebrei e un breve capitolo dedicato alla risiera di San Sabba, l’unico campo di sterminio creato in Italia, a Trieste, quindi il rapporto di Odilo Globocink, agli atti del processo di Norimberga, presentato a Himmler nel gennaio 1944 con i risultati economici ottenuti grazie alla Aktion Reinhardt che comprendono i beni sequestrati ai deportati. Varie bibliografie, una cartografia dei luoghi e un indice di nomi concludono il volume. Volume aperto dal ricordo di un mondo ”pulsante di negozietti, bancarelle, andirivieni della gente, dei carretti, i cavalli, il suo dello yddish e dell’ebraico” che vedeva, tra alterne vicende, coabitare polacchi ed ebrei da circa seicento anni e che era completamente scomparso dopo la guerra. E poi una curiosità poco nota, il fallimento e l’ideazione del piano Madagascar che prevedeva la deportazione dei circa quattro milioni di ebrei che si trovavano nella sfera di influenza territoriale tedesca nell’isola africana. La rinuncia si dovette alla mancata sconfitta inglese, che pattugliava con le sue navi quei mari e soprattutto controllava Suez, e alla preferenza di Goering e altri per l’uso degli ebrei come schiavi da lavoro.