Il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, in ricordo delle vittime dell’Olocausto e per non dimenticare le persecuzioni, le morti e le umiliazioni di milioni di ebrei durante il regime nazista.
Qui sotto vi elencheremo dei libri che trattano di questo fragile argomento: dal diario di Anna Frank a Storia di una ladra di libri di Zusak a Se questo è un uomo di Primo Levi.
Primo Levi, reduce da Auschwitz, pubblicò ‘Se questo è un uomo’ nel 1947. Testimonianza sconvolgente sull’inferno dei Lager, libro della dignità e dell’abiezione dell’uomo di fronte allo sterminio di massa, ‘Se questo è un uomo’ è un capolavoro letterario di una misura, di una compostezza già classiche. È un’analisi fondamentale della composizione e della storia del Lager, ovvero dell’umiliazione, dell’offesa, della degradazione dell’uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio.
All’inizio di questo Diario, Etty è una giovane di Amsterdam, intensa e passionale. È ebrea, ma non osservante. I temi religiosi la attirano, e talvolta ne parla. Poi, a poco a poco, la realtà della persecuzione comincia a infiltrarsi fra le righe del diario. Etty registra le voci su amici scomparsi nei campi di concentramento, uccisi o imprigionati. Ma, quanto più il cerchio si stringe, tanto più Etty sembra acquistare una straordinaria forza dell’anima. Non pensa un solo momento a salvarsi. Pensa a come potrà essere d’aiuto ai tanti che stanno per condividere con lei il ‘destino di massa’ della morte amministrata dalle autorità tedesche. Confinata a Westerbork, campo di transito da cui sarà mandata ad Auschwitz, Etty esalta persino in quel ‘pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato’ la sua capacità di essere un ‘cuore pensante’. A mano a mano che si avvicina la fine, la sua voce diventa sempre più limpida e sicura, senza incrinature. Anche nel pieno dell’orrore, riesce a respingere ogni atomo di odio, perché renderebbe il mondo ancor più ‘inospitale’.
Il libro comincia il 12 giugno 1942 quando Anna riceve come regalo un diario che, piano piano, riempirà con la sua testimonianza degli orrori della persecuzione nazista. Già dalle prime pagine, in cui Anna Frank si rivolge ad una amica immaginaria chiamata Kitty, si capisce come la sua vita stia lentamente cambiando per colpa delle restrizioni imposte dal regime nazista. Fino all’8 luglio i racconti di Anna Frank sono quelli, più o meno normali, di una ragazza benestante trasferitasi in Olanda proprio per sfuggire a Hitler, ma, quando anche questo paese viene conquistato, la situazione muta completamente.
Nella Germania degli anni Trenta, due ragazzi sedicenni frequentano la stessa scuola esclusiva. L’uno è figlio di un medico ebreo, l’altro è di ricca famiglia aristocratica. Tra loro nasce un’amicizia del cuore, un’intesa perfetta e magica. Un anno dopo, il loro legame è spezzato.
Un violino costruito nell’inferno del lager, ‘assurdo come una pianta di rose in un porcile’. Un violino per ritrovare la dignità violata e, forse, per sopravvivere. Quando Daniel, liutaio a Cracovia, viene deportato ad Auschwitz, dei gesti e delle sensazioni di quel mestiere così amato gli resta solo il ricordo. Finché un giorno viene convocato dal comandante del campo, il maggiore Sauckel: dovrà riparare il violino del suo amico Bronistaw, celebre musicista ridotto ora a esibirsi davanti ai suoi carnefici. Di fronte all’abilità del liutaio, il sadico e raffinato maggiore decide di commissionargli uno strumento nuovo. Un violino che dovrà essere ‘perfetto come uno Stradivari’: altrimenti sia Daniel che l’amico andranno incontro a una fine peggiore della morte. Solo cinquant’anni dopo, in una Cracovia invernale che celebra il secondo centenario della morte di Mozart, la storia segreta e miracolosa di quel violino verrà finalmente svelata.
È l’aprile del 1944. Due ebrei slovacchi, Rudolf Vrba e Alfred Wetzler, riescono a fuggire dal lager di Auschwitz-Birkenau e dettano ai capi della comunità ebraica un rapporto dettagliato e preciso sullo sterminio e sul folle progetto della ‘soluzione finale’, nella speranza di arrestare i terribili piani di Adolf Eichmann. La storia seguì un corso diverso e i treni carichi di deportati continuarono a viaggiare, portando centinaia di migliaia di persone verso le camere a gas, con uno strascico di accuse infamanti. Nella loro drammatica semplicità, ‘I protocolli di Auschwitz’ costituiscono la prima testimonianza concreta dell’esistenza dei lager circolata fuori dal Reich. Nel saggio introduttivo lo storico Alberto Melloni ripercorre il cammino dei due fuggiaschi e le infinite vicissitudini di questo documento unico ed eccezionale, che ha attraversato la storia della Shoah fino ai giorni nostri.
Ecco a voi Max Schulz: poveraccio ariano, occhi da rospo e naso a becco, figlio di padre ignoto. Il suo migliore amico: Itzig Finkelstein, biondo, occhi azzurri, ebreo, figlio di un ricco barbiere. Nel terzo Reich, Max Schulz fa carriera: SS, brigate nere, specialista sterminatore in Polonia. In Polonia, nel terzo Reich, Itzig Finkelstein e famiglia vengono sterminati. A guerra finita, Max Schulz dribbla magistralmente russi e partigiani e torna a Berlino. Ricercato dal nuovo governo come criminale di guerra, decide di cambiare identità. Si fa tatuare un codice di Auschwitz sul polso, si fa circoncidere. D’ora in avanti, sarà Itzig Finkelstein, barbiere ebreo. Riceverà gli aiuti destinati alle vittime dell’olocausto, si avvicinerà al movimento sionista…
Arturo Finzi scopre di essere ebreo quando nel 1938 il regime fascista vara le leggi razziali. Da quel momento comincia a scrivere un diario in cui racconta le tappe della sua progressiva segregazione. La sua storia ricorda il dramma di tanti ragazzi ebrei italiani che hanno visto morire le loro speranze di vita e d’amore assai prima di ritrovarsi in un campo di sterminio.
Karl Stern, quattordicenne di Berlino, non ha mai pensato a se stesso come a un ebreo. Ma ai nazisti non importa che non abbia mai messo piede in una sinagoga o la sua famiglia non sia praticante. Demoralizzato dalle continue aggressioni subite a causa di un’eredità che non riconosce come sua, il ragazzo cerca di dimostrare ai coetanei quanto vale. E quando ha l’occasione di essere allenato da Max Schmeling, campione mondiale di boxe ed eroe nazionale della Germania nazista, pensa sia l’occasione giusta per il suo riscatto agli occhi dei suoi compagni ariani. Presto però la violenza del regime esplode e il ragazzo si troverà diviso tra il suo sogno di successo nella boxe e il dovere di proteggere la sua famiglia…
Emanuele è un bambino ribelle e pieno di vita che vuole costruirsi un paio di ali per volare come gli uccelli. Emanuele ha sempre addosso un odore sottile di piedi sudati e ginocchia scortecciate, l”odore dell’allegria’. Emanuele si arrampica sui ciliegi e si butta a capofitto in bicicletta giù per strade sterrate. Ma tutto ciò che resta di lui è un pugno di lettere, e un quaderno nascosto in un muro nel ghetto di Lodz. Per ritrovare le sue tracce, Amara, l’inseparabile amica d’infanzia, attraversa l’Europa del 1956 su un treno che si ferma a ogni stazione, ha i sedili decorati con centrini fatti a mano e puzza di capra bollita e sapone al permanganato. Amara visita sgomenta ciò che resta del girone infernale di Auschwitz-Birkenau, percorre le strade di Vienna alla ricerca di sopravvissuti, giunge a Budapest mentre scoppia la rivolta degli ungheresi, e trema con loro quando i colpi dei carri armati russi sventrano i palazzi. Nella sua avventura, e nei destini degli uomini e delle donne con cui si intreccia la sua vita, si rivela il senso della catastrofe e dell’abisso in cui è precipitato il Novecento, e insieme la speranza incoercibile di un mondo diverso.
Leggere questo libro significa fare un viaggio. Farsi prendere per mano da Bruno, un bambino di nove anni, e cominciare a camminare. Presto o tardi si arriverà davanti a un recinto. Siamo nel 1942 e il padre di Bruno è il comandante di un campo di sterminio. Shmuel, un bambino polacco, sta dall’altro lato della rete, nel recinto, prigioniero. La sua amicizia con Bruno dimostrerà meglio di qualsiasi spiegazione teorica come in una guerra tutti sono vittime, e tra loro quelli a cui viene sempre negata la parola sono proprio i bambini.
Si può essere felici lontano da casa? Anna e la sua famiglia, braccati dai nazisti, hanno dovuto lasciare Berlino e cambiare città più volte. Adattarsi non è facile. Ma la cosa più importante è restare insieme.
L’autobiografia di un ebreo che racconta la propria infanzia e le persecuzioni subite nella Francia occupata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Dalla fuga da Parigi alla ricerca di un rifugio fino alla salvezza definitiva avvenuta grazie all’intervento di un sacerdote cattolico, il coraggio di due fratelli disposti ad affrontare le situazioni più pericolose per salvarsi e le esperienze che li fanno maturare nonostante la giovane età.
Carlo, che adorava guardare i treni e decide di usarli come nascondiglio; Hannah, che da quando hanno portato via suo fratello passa le notti a contare le stelle; Emeline, che non vuole la stella gialla cucita sul cappotto; Dawid, in fuga dal ghetto di Varsavia con il suo violino. Le storie di quattro ragazzini che, in un’Europa dilaniata dalle leggi razziali, vivono sulla loro pelle l’orrore della deportazione.
Una fuga senza fine, solo per salvarsi la vita. Un bambino di otto anni, fuggito dal ghetto di Varsavia, passa da un gruppo di ragazzi alla macchia, a case di contadini protettivi o malvagi, a soldati tedeschi spietati o umani; dorme sugli alberi, nelle tombe e, a forza di nasconderlo, arriva a dimenticare di essere ebreo. In Israele, dove oggi vive e insegna, Yoram Friedman ha raccontato la sua storia – perché questa è una storia vera – che Uri Orlev ha ascoltato dalla sua voce e scritto con commozione e intensa partecipazione.
Nel marzo del 2000 una vecchia valigia arriva nel piccolo museo dell’Olocausto di Tokyo, in Giappone. Sopra qualcuno ha scritto con della vernice bianca: Hana Brady, 16 maggio 1931, orfana. Chi era Hana? E che cosa le è successo? Fumiko Ishioka, la curatrice del museo, parte per l’Europa, destinazione Praga, sulle tracce di una bambina di tanti anni fa, che possedeva una valigia che è finita ad Auschwitz.
Lina ha appena compiuto quindici anni quando scopre che basta una notte, una sola, per cambiare il corso di tutta una vita. Quando arrivano quegli uomini e la costringono ad abbandonare tutto. E a ricordarle chi è, chi era, le rimangono soltanto una camicia da notte, qualche disegno e la sua innocenza. È il 14 giugno del 1941 quando la polizia sovietica irrompe con violenza in casa sua, in Lituania. Lina, figlia del rettore dell’università, è sulla lista nera, insieme alle famiglie di molti altri scrittori, professori, dottori. Verrà deportata. Settimane di fame e di sete. Fino all’arrivo in Siberia, in un campo di lavoro dove tutto è grigio, dove regna il buio, dove il freddo uccide, sussurrando. E dove non resta niente, se non la polvere della terra che i deportati sono costretti a scavare, giorno dopo giorno. Ma c’è qualcosa che non possono togliere a Lina. La sua dignità. La sua forza. La luce nei suoi occhi. E il suo coraggio.
Fu a nove anni che Liesel iniziò la sua brillante carriera di ladra. Certo, aveva fame e rubava mele, ma quello a cui teneva veramente erano i libri, e più che rubarli li salvava. Piano piano, con il tempo ne raccolse una quindicina, e quando affidò la propria storia alla carta si domandò quando esattamente la parola scritta avesse incominciato a significare non solamente qualcosa, ma tutto.
Non esiste luogo in cui l’amore non possa vincere. Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento non saranno più donne, saranno solo una sequenza inanimata di numeri tatuati sul braccio. Ad Auschwitz, è Lale a essere incaricato di quell’orrendo compito: proprio lui, un ebreo come loro. Giorno dopo giorno Lale lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo finché una volta alza lo sguardo, per un solo istante: è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non potrà più dimenticare. Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito: racconta poco di lei, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno un passato, ma sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Ma non per Lale e Gita, che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno.
Uwe Timm, uno dei maggiori scrittori contemporanei tedeschi, autore di romanzi, sceneggiature e letteratura per bambini, aveva due anni quando, nel 1943, il fratello maggiore Karl-Heinz, arruolatosi volontario nella divisione scelta Totenkopf delle Waffen-SS, morì a 19 anni sul fronte russo. Di quel fratello Uwe non ha quasi alcun ricordo: solo l’immagine fugace di un ragazzo alto che lo solleva e lo fa volare in aria. Esce per Sellerio Come mio fratello (traduzione di Margherita Carbonaro), una riflessione sulla scelta e la responsabilità, sul male e le sue conseguenze.