(di Francesca Pierleoni) Le proteste “che ci sono state in Russia nel giorno dei funerali di Navalny e per le elezioni che hanno riconfermato Putin dimostrano che l’opposizione al putinismo esiste ed è abbastanza forte per certi versi. Non sono punte estreme, ma indicano qualcosa di più profondo nella società”. Lo dice all’ANSA Boris Belenkin, responsabile della Biblioteca di Memorial (l’Ong russa premiata con il Nobel per la pace nel 2022 per il suo impegno nella difesa dei diritti umani) dal giorno della sua fondazione fino alla liquidazione per una sentenza giudiziaria dell’organizzazione a Mosca due anni fa.
Il dissidente russo che dalla sentenza contro Memorial ha lasciato con la famiglia la Russia ed ora vive nella Repubblica Ceca è appena arrivato a Roma dove il 23 marzo sarà tra gli ospiti di Libri Come, dove presenterà in un incontro alle 17.30 il suo ultimo volume, appena pubblicato da Rizzoli, Non lasciare che ci uccidano – Storie di Memorial (la traduzione dal russo è a cura di Marco Clementi). Lo storico sarà anche il giorno dopo a Milano, per un incontro alle 18 al Memoriale Della Shoah. “Per me è stata una sorpresa il numero così elevato di persone che hanno partecipato ai funerali di Navalny, pensavo ci sarebbero andati al massimo qualche centinaio di cittadini, invece erano decine di migliaia.Poi pensavo che i partecipanti sarebbero stati soprattutto della mia generazione, invece c’erano tantissimi ragazzi: quello che ho visto in quella giornata mi ha dato per la prima volta in due anni una sensazione positiva rispetto al mio Paese”. Inoltre, “mi ha dato speranza vedere manifestazioni di dissenso e di memoria di Navalny durante il voto, come presentarsi ai seggi alle ore 12 (lo aveva chiesto la vedova del dissidente, Yulia Navalnaya, per dare corpo a un segno di protesta, ndr) rispetto ad elezioni che valevano quanto uno zero nel seggio elettorale. Considerando che rispetto a votare Putin, le alternative erano solo annullare la scheda o scegliere un idiota che si presenta come avversario ma è tutto falso”. Su questo, “ho dei problemi sul mondo giornalistico in generale, non tanto con la Russia, dove non c’è proprio giornalismo. Perché se dovessimo essere onesti fino in fondo la notizia della riconferma di Putin come presidente dovrebbe avere uno spazio tale quanto quella di un ubriacone cascato dentro la fontana in Piazza Barberini” commenta. Venendo poi ai conflitti in Ucraina e a Gaza, “penso che il Papa, una persona che rispetto molto, abbia ragione. Quello che sta succedendo oggi può essere anche chiamato terza guerra mondiale. Ci sono tutti o presupposti per uno scontro più esteso e per una conversione di questa guerra fatta a blocchi in una più totale. Non amo fare la Cassandra però stando a quello che vedo, ho paura che andrà a finire male”.
Rispetto all’azione, che continua, di Memorial, nata alla fine degli anni Ottanta con la volontà di promuovere la ricerca storica e tutelare la memoria delle vittime dello stalinismo, per poi collegare da inizio anni ’90 gli studi sul passato sovietico alla difesa dei diritti umani nella Russia contemporanea, Belenkin spiega che l’impegno di Memorial è articolato: “Si sta continuando a lavorare sia nelle ex Repubbliche sovietiche sia nel resto d’Europa, grazie a anche a tutti i componenti dell’ong che come me hanno lasciato la Russia”. Lo storico, nel libro, inizia il racconto proprio dal giorno nel quale è arrivata la notizia del Nobel, mentre stava andando in tribunale per assistere alle fasi finali del procedimento contro Memorial: “Con le emozioni contrastanti che ho provato allora non mi sono ancora riconciliato”. Comunque, in quelle ore, “mi è stato chiaro che sarebbe stato impossibile continuare a vivere in Russia. Avevo due possibilità, andare in prigione o smettere di fare quello che stavamo facendo. Rimanere avrebbe avuto conseguenze negative anche per quello che rimaneva dell’organizzazione. Invece così il nostro lavoro va avanti”.