
(di Francesco De Filippo) MARIO CALIGIURI, INTELLIGENCE (Treccani, 107 pag, 12 euro) Se qualcuno pensa all’intelligence come a persone che nella notte stazionano all’angolo della strada con il cappello a falde larghe calato sul viso a monitorare i movimenti di qualcuno, o è un appassionato di gialli o un nostalgico romantico. Il libretto “Intelligence” di Mario Caligiuri spiega che la semantica di quella parola è traghettata dall’indicare un gruppo di spioni spregiudicati a diventare una scienza.
Non sono più gli anni ’60 quando David Wise e Thomas Ross descrivevano “un secondo governo, celato alla vista del pubblico” che “raccoglieva informazioni, svolgeva attività spionistica, progettava e realizzava operazioni segrete in tutto il mondo”. Né ci sono più apparati della forza (e autorizzazioni) per spiare quasi uno per uno i cittadini come faceva la Stasi nella Ddr. Oggi l’intelligence deve scegliere altre strade per essere efficace: deve conoscere e interpretare i fenomeni. E il primo, “sfida del futuro”, è tra intelligenza umana ed IA.
Caligiuri – docente di Pedagogia e direttore del Master in intelligence dell’Università della Calabria, presidente della Società Italiana Intelligence, uno dei massimi studiosi europei del settore a livello accademico – ricorda che la parola deriva dal latino intelligere (capire), inter (tra) e legere (scegliere, raccogliere): il compito di oggi dei Servizi (segreti). Lo studioso prende le distanze dalle “deviazioni” che ha avuto anche in Italia l’Apparato: oggi è “bene” che questo “rimanga al di fuori delle contese politiche, preservando la sua funzione di salvaguardia dell’interesse nazionale”. L’autore ripercorre la storia dei Servizi – Sun-Tzu, Chiesa, Repubblica di Venezia, Mata Hari – segnala che durante la Guerra fredda furono sperimentati i poteri della mente: fenomeni ESP, spie psichiche, sesto senso. Nel XXI secolo efficiente è la Cina: dal 2017 una legge obbliga a collaborare con i Servizi. In Italia la prima legge sui Servizi è del 1977, riformata nel 2007; oggi la struttura ha un alto gradimento: 63%, più di magistratura (47) e Parlamento (34).
L’intelligence è uno “strumento per difendere le democrazie da terrorismo islamico, IA appunto e criminalità, catastrofi climatiche. L’idea dell’autore è pareggiare i conti con la cultura anglosassone, che fa dell’intelligence materia di studio, calata com’è nella realtà. Ricorda ad esempio i finanziamenti della Cia a cinema, arte, editori, intellettuali, università. Nel XXI secolo – era della disinformazione – compito dell’intelligence è aiutare le persone a capire la realtà; dovrà anche precisare il suo compito tra “geopolitica della mente”, dominio delle rotte antartiche e artiche, del cyberspazio, gestione dell’acqua, big data e loro proprietà in mano a pochi tycoons. Con il rischio che le decisioni del genere umano le prendano le macchine. L’intelligence, insomma, deve “cogliere i segni dei tempi, interpretare la metamorfosi della società facendosi sentinella che osserva la fine di un mondo per contribuire a preparare quello che verrà”.