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Pubblicado da Collezionista di News in 14 Settembre 2025
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    (di Mauretta Capuano) È stato “un Gino Strada” del passato Ferdinando Palasciano, il grande medico dell’Ottocento protagonista del romanzo di Wanda Marasco, ‘Di spalle a questo mondo” (Neri Pozza), vincitore del Premio Campiello 2025 con 86 voti.
        Lo racconta la scrittrice all’ANSA il giorno dopo la vittoria e una notte quasi insonne per l’emozione. “Alla vigilia avevo tanta paura, ma Il Campiello è un premio libero, prestigioso, con una giuria competente e rigorosa” dice.
        “Palasciano ha sempre praticato la necessità della cura da portare a tutti indiscriminatamente e soprattutto ai poveri e agli ultimi. Ha cominciato la sua avventura con l’impeto di un Gino Strada. Le affinità tra i due sono straordinarie” afferma Marasco. “C’è una verità storica. Palasciano è stato il primo a proclamare il principio di neutralità dei feriti di guerra.
        Venne anche condannato a morte, a Messina nel 1848, perché curava feriti dell’altra parte. È una figura attualissima. Ce ne sono stati sicuramente altri e ce ne sono tanti di medici così in questo momento, che non fanno rumore e conosciamo di meno.
        Rappresentano quella parte di umanesimo applicato alla scienza di cui ci sarebbe tanto bisogno” spiega Marasco.
        Nei suoi libri la scrittrice ha sempre affrontato il tema della follia che in ‘Di spalle a questo mondo’ diventa una forma di conoscenza insieme alla fragilità. Ma cosa la ha appassionata della storia di Palasciano e di sua moglie la contessa Olga Pavlova Vavilova che lui vuole guarire dalla zoppia? “Mi ha appassionata soprattutto la volontà etica di quest’uomo.
        Un eroe che non gridava, che non si rappresentava, un eroe dell’intelligenza e del cuore. Olga è la forza dell’amore che conosce ogni istante dell’appartenenza a una creatura cara, conosce il dubbio, la voglia di fuggire dalla malattia. Colma di eros e di dedizione materna. Erede di tanti archetipi della letteratura, è espressione di cosa una donna riesce a fare quando ha compreso la fragilità umana e la ama. Alle donne come non mai spetta questo compito di orientamento, di guida. La donna è capace di grande progettualità, ma anche di inserire un passo di misericordia”.
        Marasco, commossa dalla loro storia, ambientata a Napoli, ha fatto diventare Ferdinando e Olga “maschere per dire tutto quello che volevo quando noi viviamo l’amore, la gioia, la malattia, la fragilità, la caduta degli ideali. Viviamo – dice – in un mondo di guerre e disumanità. L’utopia dei miei protagonisti tendeva al recupero dell’umano per l’umanità. È questa l’eredità che ci hanno lasciato: il senso dell’umano perché se non esiste cura per l’altro, verso l’altro – e sta succedendo quello che sappiamo tutti nel mondo – c’è il trionfo del disumano”.
        Follia, dolore, amore, morte, fragilità si intrecciano nelle oltre 400 pagine del libro e “sono sempre intrecciati nelle nostre esistenze come nella letteratura, soprattutto oggi come ci mostrano le cronache terribili. Accade di tutto, dai femminicidi al suicidio o all’uccisione dei bambini. Queste cose sono nella nostra esistenza anche se qualche volta ci sembrano lontane e non è vero, perché l’altro siamo noi e la vicenda spazio-temporale può cambiare da un momento all’altro”.
        Napoletana sui generis, Marasco racconta una Napoli “completamente inedita, che può essere una qualunque città del sud del mondo, che contiene in se stessa rivolta, pensiero, ombre, guasti e tanta capacità di fare arte e cultura”.
        A Capodimonte, racconta, “avevo davanti a me questa torre magnifica, misteriosissima, fatta erigere da Ferdinando Palasciano. Da bambina mi faceva paura e ne ero affascinata perché è proprio un magnete e nel paesaggio di Napoli è una cosa inedita. Mi ha portato naturalmente a questa storia”.
        Autrice di un romanzo di impostazione classica che ha portato per la prima volta alla vittoria del Campiello la Neri Pozza, la scrittrice si considera un’outsider. “Spero di potermi sentire così per tutta la vita. Mi interessa fare della scrittura un fondamento di vita, essere scrittura e raggiungere l’altro.
        Voglio conservare una forma di candore e purezza che talvolta, con il rumore mediatico, si rischia di perdere” racconta.
        Autrice di poesie, opere teatrali, oltre che di romanzi tra cui Il genio dell’abbandono portato anche in scena dal Teatro Stabile di Napoli, sta pensando a un nuovo libro? “Ci sto lavorando. Questa volta sarà la voce di una donna dei nostri tempi, dagli anni Sessanta fino ad oggi, con una forte risonanza tra la vita interiore e gli eventi storici”. Dei suoi esordi precisa: “in realtà ho iniziato con 5 inediti di teatro che prima o poi verranno fuori. Poi pezzi di istintualità poetica, ho troppo rispetto per la poesia”.
       

    — Fonte: RSS di ANSA
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