– ROMA, 09 MAG – NANCY PORSIA, ‘MAL DI LIBIA’, I MIEI
GIORNI SUL FRONTE DEL MEDITERRANEO, (BOMPIANI EDITORE, PP. 288,
– 18 EURO).
Un viaggio che fa percorrere migliaia di chilometri in una terra
che ci si illude spesso di conoscere e che viene squadernata
senza fronzoli con la prosa asciutta della cronaca: è il libro
di Nancy Porsia, ‘Mal di Libia’ (I miei giorni sul fronte del
Mediterraneo), edito da Bompiani e che fa parte della collana
‘Munizioni’ diretta da Roberto Saviano.
Un insieme di storie che la giornalista di guerra, l’unica
italiana rimasta di base in Libia dopo la primavera araba, narra
con gli intrecci inevitabili ma senza mai perdere il filo
dell’appuntamento con la Storia, con quella rivoluzione “vinta
anche se persa” dai libici dopo l’eliminazione del dittatore
Gheddafi, con quella speranza di democrazia tradita nell’inferno
di un Paese ostaggio di odi tribali, interessi economici e
geopolitici, mentre un Occidente sempre pronto a incoraggiare la
democrazia si dimostra debole nel lungo lavoro necessario per
sostenerla in contesti così lontani, sebbene le rotte migratorie
suggeriscano il contrario. Proprio i migranti privi di tutto,
in questa cornice, diventano merce di scambio grazie al terrore
che incutono all’Europa, portandola a stringere accordi con
autorità di uno Stato inesistente, frammentato, in cui la
continuità tra autorità e gruppi armati è un dato che Nancy
Porsia indaga attraverso le sue fonti locali.
Questo libro è figlio di una storia coerente con l’impegno
politico e l’attivismo di una giornalista che descrive la
propria impotenza nell’assistere a eventi come un rapimento o le
condizioni subumane dei centri di detenzione libici, dove sono
stipate persone in fuga da altri mondi in cui la guerra è
foriera di morte almeno quanto l’incerto mare.
La Libia non vanta soltanto l’ambito petrolio, ma anche una
posizione di vero e proprio avamposto africano per il sogno
europeo. Il Vecchio Continente si vede dalle coste libiche nelle
giornate più nitide ma volta le spalle a Tripoli, e l’accordo
con la Turchia per frenare i flussi da est non sfugge ai nuovi
signori del Paese, pronti a trattenere i disperati nei propri
confini in cambio di soldi e spogliando ulteriormente le
vittime, in primis della loro dignità.
La giornalista fa un lavoro di autocritica e scandaglio nella
doppia veste di occidentale e testimone di episodi che cambiano
la sua prospettiva, come l’incontro con Omar, che conduce i
migranti in condizioni di sicurezza e su loro richiesta,
offrendo un servizio necessario dietro pagamento e senza alcuna
forma di violenza su chi parte, nella logica mercantile di
domanda e offerta: non un trafficante nell’accezione classica,
insomma, ma un ‘service provider’, come dice di sé. Chi parte
gli è grato perché vede in lui la possibilità di salvezza negata
invece dalla comunità internazionale, in un ribaltamento netto
di prospettiva.
La figura del ‘trafficante amico’ è solo uno dei tanti
esempi del continuo rimescolamento delle certezze provocato
dalla complessità di cui Nancy Porsia tira le fila, mettendosi
sempre in gioco ma non diventando mai ingombrante. Il suo libro,
infatti, rappresenta un percorso di nuova formazione anche
sentimentale descritto con la voglia di capire, molto più forte
del coraggio e ispiratrice di quest’opera dedicata a Dumi, amico
deceduto per una nuova Libia, e ai bambini Ahmed e Mohamed,
vittime di naufragio nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Morti che sono facce della stessa medaglia e che purtroppo
rappresentano profonde ferite aperte del nostro tempo. La
lettura di ‘Mal di Libia’ diventa così un viatico per leggere il
presente con nuovi occhi e ricordare a ogni pagina quanto è
stato benevolo il caso con chi è nato a nord del Mediterraneo.
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