
(di Chiara Venuto) CAROLINA VINCENTI, ‘FANTASMI ROMENI’ (La Lepre Edizioni, pp. 112, euro 16).
Dieci storie di esuli dalla vita straordinaria, accomunati dall’essere romeni. Sono i protagonisti delle biografie raccolte in ‘Fantasmi romeni’, volumetto di Carolina Vincenti per La Lepre nato dal desiderio di raccontare al proprio figlio, in procinto di trasferirsi in Romania, quanto di quella terra aveva appreso dai suoi nonni.
“Appartenere – scrive Vincenti nell’introduzione – è un balsamo che genera benessere, come sanno bene coloro che s’incammino nel mondo alla ricerca di un’identità”. Così, attraverso le storie di altri, l’autrice cerca di dare un senso a cosa sia l’appartenenza e in quale modo si possa costruire un’identità. Per farlo, prende spunto dalle vicende di dieci personaggi che hanno fatto del viaggio e della ricerca dell’io la propria vita, in un modo o nell’altro. “Accompagnata dalle ombre dei miei fantasmi come lari tutelari – prosegue -, ho imparato a camminare per Bucarest immaginando vite dietro alle finestre, alla ricerca della città perversa e cosmopolita che avevo letto nelle parole di Paul Morand e di mia nonna”. Perché “i fantasmi aiutano a compiere viaggi e rendono le città vere più dei vivi”.
Si parte da Dimitrie Cantemir, “principe orientalista” la cui vita fu una ‘di confine’, sempre in un Paese diverso e a contatto con pensatori differenti, con la nostalgia della propria patria ma forse mai con un’identità salda, definibile da una sola cultura o idea. Poi, ci si sposta più avanti nel tempo, fino a “un’archeologa, un’artista, una sportiva, una liberale”, ovvero Elena Ghica. Si tratta di una donna di cui “poco si sa oggi”, ma la cui vita fu “straordinaria, interessante più dell’opera che ha lasciato”. Amante delle rovine classiche, “munita di una rivoltella per meglio difendersi dai briganti, cercò vestigia antiche per lungo e per largo, girando per la Grecia e per l’Anatolia”.
Vincenti racconta poi di Panait Istrati, scrittore di novelle dalla “vita agitata, tormentata, per la sua natura nomade e bizzarra”, in cui il viaggio era “metafora di vita e libertà”.
Lo segue la vicenda di Mircea Eliade, grande storico delle religioni la cui passione più grande era probabilmente la lettura, prima ancora della conoscenza in sé, e per cui l’esistenza è “in bilico tra il reale e il fantastico”.
Dunque, Vincenti scrive del filosofo Emil Cioran, che da “quella che sembrava una periferia del mondo”, un piccolo borgo tra colline transilvane, “aveva iniziato, lucido e graffiante, a capire e raccontare il male”. E, ancora, del “musicista idolatrato” Sergiu Celibidache, della “governante dei piccoli comunisti” Zelma Roth, della “principessa letterata” Marta Bibesco e del “contadino scultore” Constantini Brancusi. Fino a parlare dell'”assassinio di un iniziato”, Ioan Petru Culianu.
Esperto di gnosticismo e magia rinascimentale, fu ucciso nel 1991 per motivi ignoti con un colpo di pistola alla testa.