In Italia sono molto diffuse e discusse, accusate di essere ingannevoli e volgari, però funzionano: siete sicuri di non farvi influenzare?
Le fascette sono strisce di carta colorata che avvolgono alcuni libri. Di solito hanno colori sgargianti – rossi, gialli, arancioni – e contengono brevi frasi che hanno l’obiettivo di invogliare a comprare quei libri. In Italia sono molto diffuse, ma come ci mostra il blog fascetta nera, parecchio discusse e prese in giro a causa della loro tendenza a spararle grosse, cioè a usare superlativi assoluti, azzardare paragoni improponibili, dare giudizi entusiastici e vantare numeri di vendita astronomici e irreali. Se la maggior parte degli editori continua a usarle – anche quelli seri – è perché evidentemente le fascette funzionano, e molti lettori, forse anche quelli più critici, ne sono segretamente attratti e credono a quello che promettono. Se la ridono della grossa editori, scrittori, traduttori e lettori nel prendere in giro, sotto l’hashtag virale #FascettaOnesta lanciato dall’editore Marco Cassini, ex Minimum Fax e attualmente a Sur Edizioni.
Le fascette, in realtà, svolgono diverse funzioni. La prima è segnalare ai possibili clienti i libri che secondo l’editore hanno più potenziale di vendita; la seconda è inquadrare il tipo di libro, in base a chi lo consiglia, accostandoli ad altri libri o autori, o elencando le emozioni che può suscitare (“un libro che vi farà innamorare”); la terza è tentare di generare un effetto virale o una moda, usando la parola bestseller o citando la quantità di ristampe o di copie vendute. In tutti questi casi, però, l’obiettivo principale di una fascetta è far risaltare un libro – anche visivamente – tra gli altri che lo circondano, perché la prima battaglia è quella per la visibilità sugli scaffali delle librerie.
In Francia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti le fascette sono molto meno diffuse che in Italia. In inglese non hanno neanche un nome: si chiamano «advertising paper book band with blurb on it». In Francia servono ad aggiungere informazioni su un libro che è già in libreria senza doverlo ristampare, per esempio quando quel libro vince un premio. Se la diffusione delle fascette in Italia rappresenta quindi un’usanza che può essere considerata volgare, comporta l’indubbio vantaggio di non intaccare il libro: dopo aver svolto la propria funzione di richiamo, la fascetta può essere buttata senza lasciare tracce. Quando invece le frasi promozionali – come accade nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ma anche in Italia – sono stampate sulla quarta di copertina, accompagnano il libro per tutta la sua storia, oltre a togliere spazio per la sinossi o la descrizione.
L’uso di brevi frasi promozionali per promuovere i libri è probabilmente iniziato negli Stati Uniti, anche se non esiste una versione unica e certa di questa storia. La NPR, cioè la radio pubblica statunitense, ha sostenuto che il primo scrittore a utilizzare una frase di un altro scrittore più famoso per vendere il suo libro sia stato il poeta Walt Whitman nel 1856. Un anno prima Whitman – allora giovane e sconosciuto – mandò in lettura la prima edizione di Foglie d’erba, che sarebbe diventato il più famoso poema americano, a Ralph Waldo Emerson, filosofo e scrittore già allora molto famoso. Emerson rispose con una lettera di incoraggiamento che venne successivamente pubblicata sul New York Tribune. Quando nel 1856 Foglie d’erba fu ristampato, l’editore e Whitman decisero di stampare sulla costa del libro un augurio tratto proprio dalla lettera di Emerson, molto simile a quello che potremmo trovare su una delle fascette di oggi: “Ti vedo all’inizio di una grande carriera». La frase di Emerson svolgeva lo stesso ruolo delle prefazioni, anzi era una specie di prefazione sintetizzata all’estremo e stampata in copertina.
In effetti la diffusione degli “strilli” si accompagna al progressivo tramonto delle prefazioni: se fino a vent’anni fa per lanciare un libro si chiedeva una prefazione a uno scrittore o critico famosi, oggi gli si chiede un “blurb”, che è molto più efficace e fa risparmiare all’editore il costo della prefazione, allo scrittore famoso la fatica di scriverla e al lettore di leggerla. Il termine blurb si usa anche in italiano, ma potrebbe essere tradotto con “strillo”: fu usato la prima volta nel 1906 sulla copertina del libro Are you a Bromide? dell’umorista americano Gelett Burgess.
Da un punto di vista grafico, la fascette si assomigliano molto: i colori catturano lo sguardo, i font usati sono chiari, quasi sempre bastoni, le frasi lunghe tra tre e cinque righe. I testi sono scelti dagli editori, che spesso se li scrivono da sé, d’accordo con gli autori. Nel caso in cui riferiscano il giudizio di altri scrittori, giornalisti o personaggi famosi, sono tratti da recensioni già pubblicate o concordate direttamente con gli interessati. Il messaggio può essere di tre tipi: numeri di copie vendute, descrizione entusiasta o consiglio di un personaggio famoso.
Le fascette con il numero di copie vendute o di edizioni stampate sono forse quelle più diffuse. Alcuni esempi recenti: “Il nuovo romanzo dell’autore di thriller più venduto nel mondo”; “Il bestseller internazionale alla sedicesima edizione italiana, 200 mila copie vendute”; “Il libro di cui tutti parlano! 893.453 copie vendute” (il numero è così preciso per fare venire voglia di accaparrarsi la 893.454esima). Nella maggior parte dei casi le informazioni sono false o presentate in maniera ingannevole: comunque molto gonfiate rispetto alla verità. La parola usata più a sproposito è “edizione”, che dovrebbe indicare solo il testo che ha avuto modifiche, mentre è utilizzata come sinonimo di “ristampa”, che invece indica ogni nuova tiratura. Negli ultimi anni il numero di ristampe annunciate è cresciuto a dismisura, perché stampare costa effettivamente di meno e quindi si possono fare tirature più basse, simulando vendite che in realtà non sono avvenute.
Esistono anche casi ai limiti della truffa. Si racconta, per esempio, di un editore che per risparmiare tempo e denaro stampava preventivamente tutte le fascette di un libro, con già l’indicazione delle varie ristampe, e chiedeva ai librai di cambiarle ogni settimana. In alternativa alle edizioni nelle fascette si possono trovare dati sulle copie vendute, ma anche questo è un dato incerto e poco verificabile. Più vago, ma forse più onesto, è l’uso della parola “bestseller”. Indicare in fascetta i premi letterari vinti – in Italia alcuni, come il Premio Strega, fanno vendere – ha la stessa funzione delle copie vendute: mostrare al pubblico che quello è il libro di cui si parla.
Al secondo genere appartengono le frasi lapidarie, spesso usate per autori stranieri poco conosciuti in Italia o per esordienti italiani da lanciare. Alcuni esempi recenti: «Un’indagine incalzante, un detective originale: il romanzo perfetto per chi ha amato Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte»; «L’eternità è la loro conquista più grande»; «Dopo Suburra un nuovo grande romanzo criminale»; «Il giallo che ha sconvolto il mercato scandinavo e britannico». Sono sempre particolarmente estreme le fascette della casa editrice Newton & Compton, scritte in maiuscolo con un tono urlato che sfiora accenti parodistici:
“INTELLIGENTE E BRILLANTE. IMPOSSIBILE INDOVINARE IL FINALE”. Da notare che spesso dopo le virgolette non è indicata la fonte: il che significa che a dare quel giudizio entusiasta è l’editore, se non l’autore stesso. Per quanto altisonante sia il messaggio, però, la funzione di questi testi è la stessa di un sottotitolo troppo entusiasta: descrivere il libro in quanto tale o accostandolo ad altri romanzi o scrittori.
L’ultimo gruppo – che è il discendente più diretto del blurb di Emerson a Whitman e, quindi, delle prefazioni – è quello dei consigli che possono essere giudizi di giornali (di David Foster Wallace: «La mente migliore della sua generazione», New York Times) o di persone famose, non necessariamente scrittori: «Un libro che ho regalato a tutti i miei amici» (Daniel Pennac); «Ho sorriso praticamente a ogni pagina ed è una cosa rara ai giorni d’oggi» (Pupi Avati); «Era da tempo che non sottolineavo un libro con tanta foga» (Chiara Gamberale) o «Divertente. Poetico. Mi piace da matti» (Luciana Littizzetto). Qualche anno fa il collettivo di scrittori Wu Ming usò il virgolettato al contrario, citando nella fascetta di Altai un pezzo della recensione di Libero: «Una boiata, proprio come Q*».