Qualcuno in uno di questi posti… mi chiese: “Cosa fai? Come scrivi, come crei?” Non lo fai, gli dissi. Non provi. È molto importante: non provare, né per le Cadillac, né per la creazione o per l’immortalità. Aspetti, e se non succede niente, aspetti ancora un po’. È come un insetto in cima al muro. Aspetti che venga verso di te. Quando si avvicina abbastanza, lo raggiungi, lo schiacci e lo uccidi. O se ti piace il suo aspetto ne fai un animale domestico.
«Quello che scrivo è al 95% vita vera, e solo al 5% fiction».
Nel 1944-45 inizia un decennio buio, che lo stesso scrittore definirà in seguito come «una sbronza lunga dieci anni»: ne uscirà a metà degli anni ’50 con il fisico già minato dall’alcol e dalla depravazione. Ma comincerà a raccontare quegli anni bui nelle sue storie. Impiegato all’ufficio postale per guadagnarsi di che vivere (e di che mantenere il vizio dell’alcol), nel 1955 Charles Bukowski ritorna a scrivere e soprattutto a pubblicare. Dopo varie vicende sentimentali la sua vena letteraria diviene feconda: scrive e pubblica poesie e vari racconti. Finché nel 1969 l’editore Black Sparrow gli offre un contratto a vita (per 100 dollari al mese) grazie al quale riesce a lasciare il lavoro alle poste e a pubblicare immediatamente il romanzo che lo renderà celebre, Post Office (uscito in Italia per SugarCo nel 1971).
Tra le sue opere più importanti e più conosciute, i romanzi Factotum (SugarCo, 1975), Panino al prosciutto (SugarCo, 1982), Hollywood (Feltrinelli, 1990) e l’ultimo, scritto in punto di morte, Pulp (in Italia uscito postumo nel 1995 per Feltrinelli).
Celeberrime e molto ampie le sue raccolte di racconti: tra le tante, Taccuino di un vecchio sporcaccione (Guanda 1979, poi Feltrinelli 1980 con il titolo Taccuino di un vecchio porco), Musica per organi caldi (Feltrinelli, 1984) e una serie di corti confluiti in Storie di ordinaria follia (Feltrinelli, 1975), che ha ispirato anche un film per la regia di Marco Ferreri nel 1981.