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Boris Leonidovic Pasternak, scrittore sovietico e grande poeta universalmente noto per il suo romanzo Il dottor Zivago (tradotto in ventinove lingue e venduto in milioni di copie) morì nel suo ritiro di Peredelkino il 30 maggio 1960, all’età di 70 anni. Osteggiato in vita e profondamente incompreso nel suo Paese, l’opera poetica di questo grande scrittore ha indubbiamente esercitato un notevole influsso sui poeti russi meno conformisti delle generazioni successive.
Boris Pasternak nacque a Mosca il 10 febbraio 1890 da una famiglia di intellettuali di origine ebrea. Il padre Leonid era pittore di fama e amico di Tolstoj, la madre Rozalija Kaufman concertista. Boris studiò inizialmente composizione al conservatorio e filologia all’università di Mosca ma poi si laureò in Filosofia, sempre nella medesima università. Segui poi a Marburgo le lezioni del filosofo neokantiano Cohen.
Esordì in campo letterario nel 1914 con una raccolta di poesie dal titolo “Il gemello delle nuvole”, per poi dar vita ad altre importanti sillogi, come “Oltre le barriere”, “Mia sorella vita”, “Temi e variazione” e “Seconda nascita”, in cui sembrò ricercare una scarna semplicità del verso e una misura classica, ben lontana dalle coeve esperienze futuristiche a cui lo scrittore fu inizialmente vicino. Si distaccò infatti dal futurismo sia per indole caratteriale (i futuristi, e le loro versioni russe erano artisti molto aggressivi), sia per inclinazioni artistiche, preferendo atmosfere intime, domestiche, quasi immemori della storia in cui il poeta si muoveva.
Nei poemi “L’anno 1905” (1927) e in “Il luogotenente Schmidt” (1927) Pasternak affrontò tuttavia il tema storico alla ricostruzione della rivoluzione del 1905, proiettata però in una lontananza fiabesca, a cui si sovrappongono ricordi di infanzia e atmosfere delicate.
Sul piano politico, dopo aver partecipato al fervido clima intellettuale degli anni immediatamente seguenti alla rivoluzione, aderì alla rivoluzione russa, cercando di essere sempre leale con il regime pur senza nascondere le atrocità che questi commetteva. Dopo gli sconvolgimenti della rivoluzione Boris Pasternak decise dunque di restare in patria. Qui aveva un posto preminente tra i poeti contemporanei, ma cominciò a sognare un’altra Russia oltre quella sovietica. A vagheggiare cioè una Russia dello spirito, una Russia dell’anima, europea, universale. Contrastando il regime, prese posizione contro le terribili condizioni dei contadini collettivizzati e si premurò di intercedere presso Bucharin per salvare Osip Mandel’stam che aveva scritto un’ode contro Stalin. Mantenne inoltre costanti contatti con esuli e internati.
L’anno del distacco definitivo dalla politica culturale del partito avviene nel 1946, quando prende corpo il violento attacco contro gli intellettuali “deviazionisti e borghesi”. In quello stesso anno, ironia della sorte, comincia la stesura del suo capolavoro “Il dottor Zivago“. L’opera procurò a Pasternak un’improvvisa e vastissima notorietà mondiale ma anche anche moltissime grane.
La notizia fu considerata in Russia come un insulto alla rivoluzione. Pasternak fu accusato di tradimento, minacciato di espulsione. Il regime lo costrinse a rinunciare al Premio Nobel. Senz’altro il riconoscimento aveva una timbratura anti-sovietica. Accadde comunque che da quel momento in poi lo scrittore si chiuse in un amaro silenzio, rifugiandosi nell’esilio della sua dacia a Peredelkino, nei pressi di Mosca.
In Italia, Feltrinelli pubblica il libro nel 1957, dopo varie e complesse traversie editoriali; l’opera venne incredibilmente rifiutata da Italo Calvino, lettore e consulente per Einaudi.