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Il 3 marzo di 1996 moriva a Parigi Marguerite Duras aveva ottantuno anni. E’ stata una regista e scrittrice francese. Ha scritto 34 romanzi e, oltre alla scrittura, ha praticato anche la settima arte, dirigendo ben 16 film. Per la pellicola “India Song”, del 1975, vinse il Gran Premio Accademico del Cinema francese.
Marguerite Duras, pseudonimo di Marguerite Donnadieu, nacque nel 1914 nella località di Gia Dinh, a nord di Saigon nell’Indocina francese, scelse come pseudonimo Duras, cittadina di origine del padre. La sua era una famiglia di piccoli funzionari dell’amministrazione coloniale: l’immaginario orientale nutrì tutta la sua produzione letteraria, fortemente autobiografica.
Nel 1924 la famiglia si trasferisce a Sadek, e quindi a Vinhlong, sulle rive del Mekong. La madre, in seguito, acquisterà in Cambogia una piccola concessione che però non potrà mai essere coltivata poiché viene periodicamente inondata dal mare. Ed è proprio durante una terribile alluvione che la madre muore.
Nel 1930 studia in un pensionato a Saigon e incontra il celeberrimo fidanzato cinese, lo stesso che sarà il protagonista di uno dei suoi più celebri romanzi (se non il più famoso in assoluto), “L’amante“. Dopo le scuole superiori a Saigon, lascia l’Indocina e dal 1932 si trasferisce a Parigi, in Francia, dove studia diritto, matematica e scienze politiche. Viene assunta come segretaria presso il Ministero delle Colonie francese ma, già nel 1939, dopo il suo matrimonio con Robert Antelme, comincia a lavorare per alcune case editrici.
Nel 1942 muoiono il suo primo figlio e il fratello Paulo e incontra Dionys Mascolo, da cui avrà un figlio nel 1947. Nel 1943 entra nella resistenza, mentre il marito viene arrestato e deportato. Nel 1946 divorzia, mentre nello stesso periodo (1944-1950) è iscritta al Partito Comunista. Sempre più impegnata sul fronte politico, raro caso di donna combattiva e determinata in un mondo fortemente maschilista, si impegna nella lotta contro la guerra d’Algeria, e quindi contro il potere gaullista. Di lì a poco, fra l’altro, naufraga anche il suo matrimonio con Mascolo anche se sul fronte letterario riceve notevoli gratificazioni, sia dal punto di vista della difficile critica che da quello dell’altrettanto elitario pubblico francese, che manda alle stelle le tirature dei suoi romanzi. I suoi romanzi sono considerati difficili e per pochi, ma nonostante tutto il mito per cui solo la letteratura facile e di consumo vende, viene sfatato.
All’inizio degli anni ’50 iniziò a dedicarsi assiduamente alla scrittura, con una serie di romanzi caratterizzati da uno stile minimalista, influenzato da autori statunitensi come Ernest Hemingway e John Dos Passos.
Nel 1950 uscì Un barrage contre le pacifique (Una diga sul pacifico), che la fece conoscere al grande pubblico e per poco non vinse il premio Goncourt. Nel 1952 seguì Le Marin de Gibraltar, nel 1954 Les Petits Chevaux de Tarquinia, dalla scrittura più sperimentale, nel 1955 la pièce teatrale Le square, che colpì la critica, nel 1958 Moderato cantabile, che riscosse grande successo di pubblico.
Nel 1959 Alain Resnais chiese a Duras di scrivere la sceneggiatura del film Hiroshima mon amour, capolavoro della Nouvelle Vague.
Nel 1960 il gruppo della Rue Saint Benoît promosse la pubblicazione del Manifesto dei 121 (Manifesto che difendeva il diritto all’insubordinazione nella guerra d’Algeria, firmato da 121 intellettuali francesi.)
A partire da Il rapimento di Lol V. Steinl V.Stein, del 1964, Duras spinse ai limiti la ricerca formale nella scrittura: il ‘68 ebbe su di lei un forte impatto, portandola a sperimentare fino agli estremi di Détruire, dit-elle, del 1969, quasi incomprensibile. Ragionando con un approccio politico, Duras combatteva la scrittura semplice e immediata, perché troppo facile da mercificare.
Nel 1968 partecipò alla contestazione extra-parlamentare nel Comité d’action étudiants-écrivains: aveva ormai lasciato il puritano PCF, dov’era entrata nel dopoguerra. Nel 1951 il PCF aveva scritto di lei: «ha la reputazione di essere ninfomane, cosa non provata. Sicuramente è di costumi leggeri».
Negli anni successivi sperimentò anche nel cinema, con India song, del 1975, in cui immagine e suono sono del tutto sconnessi, poi con Le Camion, in cui lei e Gérard Depardieu leggevano il testo seduti a un tavolo e infine con L’homme atlantique, del 1981, in cui lo schermo è nero e tutto lo spazio torna alla parola.
Dall’inizio degli anni ’80 ricominciò a scrivere in diverse forme, e accolse a vivere con lei, nell’hotel Roches Noires, Yann Andrea, un giovane omosessuale. Dalla relazione d’amore con lui nacque il libro La maladie de la mort, del 1982.
Nel 1984 uscì L’amante, dove l’autrice narrò in prima persona la relazione avuta a sedici anni con il suo ricco amante cinese a Saigon, provocando scandalo.
L’impatto del libro fu dirompente: la prima tiratura di cinquemila copie si esaurì in pochi giorni, in tutto ne vendette un milione e mezzo, e vinse il premio Goncourt. A spiegazione di quel successo Duras dichiarò: «il libro, credo, trasmette quel grande piacere che, per dieci ore al giorno, ho provato scrivendolo. Di solito invece la letteratura francese confonde la serietà di un libro con il suo essere noioso. E infatti se la gente non finisce di leggere i libri è perché sono tutti colmi di pretese, la pretesa stupida di voler rimandare ad altro…».
Pubblicò in seguito Il dolore, del 1985, una serie di testi struggenti sulla Seconda guerra mondiale, poi Pioggia d’estate, del 1990, che sembrava scritto per essere recitato e venne trasformato in film da Éric Vigné, poi L’amante della Cina del Nord, del 1991.
Protagonista dei suoi ultimi scritti fu ancora Yann Andrea, nel romanzo omonimo Yann Andrea Steiner, del 1992 e nella raccolta C’est tout, uscita nel 1995, un anno prima della morte di Duras, e curata dal lui stesso in forma di intervistatore.