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John Steinbeck è l’autore di “Furore” e “Uomini e topi” e vincitore del Premio Nobel per la letteratura, con i suoi romanzi e reportage ha raccontato la Grande Depressione e la vita dei lavoratori stagionali della California.
In quello stato dell’ovest nordamericano, precisamente a Salinas, capoluogo di una vallata agricola che ogni anno vedeva il passaggio di centinaia e centinaia di lavoratori stagionali, lo scrittore nasce il 27 febbraio 1902.
Affezionato alla sua terra, ma desideroso di successo, Steinbeck si trasferisce per studiare a Stanford con la precisa idea di diventare uno scrittore. Prova a sfondare a New York ma il primo impatto con la città non è dei più fecondi, così si trova costretto a tornare in California. E chissà, forse per i posteri è stata una fortuna, che Steinbeck tornasse a respirare l’aria di casa.
A parte il suo primo romanzo, La santa Rossa (1929), avventura tipicamente stevensoniana di un pirata delle Indie Occidentali, già dai successivi testi diventa chiaro a cosa è rivolto l’interesse di John Steinbeck: gli ultimi della società, impegnati a lavorare la terra della sua California. Quelli raccontati in I pascoli del cielo, del 1932 e Al Dio sconosciuto, dell’anno successivo: non sono ancora i lavoratori stagionali che gli varranno la fortuna della maturità, ma famiglie di contadini, legate comunque da uno stesso tema, quello della rovina, sociale ed economica, causata dal furore della natura e da quello degli uomini.
Questi libri, però, sono ancora lontani dal successo che gli verrà conferito da due romanzi brevi, prima, e dal suo grande capolavoro, Furore, poi. I due brevi sono Pian della Tortilla, del 1935, e il celeberrimo Uomini e topi, del 1937. Da sottolineare che tutti e tre i titoli sbarcano (e sbancano) a Hollywood sancendo la definitiva fama di Steinbeck anche di fronte a un pubblico più vasto.
Sia Pian della Tortilla sia Uomini e topi raccontano vicende di diseredati, nel primo, dallo stile picaresco, i protagonisti sono discendenti di migranti ispanici, nel secondo Steinbeck tocca finalmente quel tema che tanto lo impegnerà successivamente: la dura esistenza dei lavoratori stagionali, destinati a pellegrinare di piantagione in piantagione, ignoranti, bastonati dalla vita e sottomessi a padroni violenti e privi di qualsivoglia morale.
L’ambientazione di Uomini e topi e, successivamente, quella di Furore, nascono dallo studio sulle condizioni dei braccianti agricoli fatto da Steinbeck per una serie di articoli, che tuttavia verranno pubblicati solo molto tempo dopo. In questi brevi quadri Steinbeck racconta in modo nitido ma succinto la vita delle famiglie immigrate in California, costrette a vivere in alloggi raffazzonati in mezzo al fango, vittime di malattie, infezioni, denutrizione, e di un altissimo tasso di mortalità infantile. In Italia possiamo trovare questi saggi, accompagnati dalle fotografie di Dorothea Lange, nella raccolta I nomadi.
Da sottolineare come, in questi stessi anni, esca anche un alto breve romanzo, La battaglia (1936), in cui Steinbeck descrive un disperato sciopero di lavoratori stagionali. Il testo è interessante perché va a toccare un grande rimosso della cultura americana: unico rimasto a difendere la dignità lavorativa dei braccianti è il Partito Comunista (del 2016 è il film, diretto da James Franco, tratto dal romanzo). Forse per questo motivo Steinbeck è sempre stato vittima di un grande malinteso: amico di Roosevelt e favorevole al New Deal, Steinbeck descrive però le dure condizioni di vita degli ultimi. Questo porta a un incessante dibattito sulla sua opera, screditata ora da chi la ritiene eccessivamente ideologica, ora da chi al contrario lo accusa di essere troppo “pop”.
Steinbeck, che affianca all’attività di scrittore quella giornalistica, fa parte, non dimentichiamolo, di quella famosa lost generation dell’entre-deux-guerre. Reporter durante gli anni terribili della Seconda guerra mondiale, Steinbeck è in Europa nel 1943 come inviato del New York Herald Tribune. Un’attitudine a raccontare quanto lo circonda che Steinbeck ha sempre avuto e che viene esplicitata nelle pagine di un altro testo, Diario Russo (sempre Bompiani), resoconto godibilissimo e velatamente ironico del viaggio in Unione Sovietica fatto in compagnia del fotografo Robert Capa. Per esempio quando Steinbeck racconta l’incontro di lui e Capa con Karaganov, funzionario del VOKS, l’ente che si occupava dei rapporti tra gli operatori culturali sovietici e quelli stranieri. Qui, i due americani ribadiscono che non vogliono dare una visione politica della Russia ma, semplicemente, raccontare quello che vedono, nel modo più sincero possibile. Certo, esprimendo anche accordo o disaccordo, ma solo in relazione a quanto sperimentato personalmente.
Certo ormai Steinbeck può permettersi il lusso di dire tutto quello che pensa sia della Russia comunista, sia della società americana. Cosa che, peraltro, ha sempre fatto anche quando sembrava un azzardo. Su questa linea si assestano anche le opere dell’ultimo periodo della sua vita, dalla Valle dell’Eden, del 1952, in cui Steinbeck torna al grande affresco umano e famigliare (anche da questo romanzo è stato tratto un film, in questo caso con James Dean protagonista), a L’inverno del nostro scontento (1961), espressione di una profonda disillusione nei confronti della contemporaneità.
Autore di numerosi altri libri, sceneggiature e pièces teatrali, a Steinbeck viene conferito nel 1962 il premio Nobel per la letteratura. Da alcuni dei suoi romanzi sono stati tratti film importanti come Uomini e topi per la regia di Lewis Milestone; Viva Zapata!, e La valle dell’Eden per la regia di Elia Kazan, nonché lo stesso Furore diretto da John Ford.
Morì il 20 dicembre del 1968 e le sue ceneri sono sepolte al Garden of Memories Cemetery di Salinas.