La ricerca letteraria del giorno su #babelezon
Biagio, detto Gino, Doria nacque a Napoli il 26 ottobre 1888. Suo padre, Eduardo, esercitava la professione di avvocato, mentre la madre, Giuseppina Minieri, apparteneva ad una ricca famiglia di Massa Lubrense.
In casa dell’avvocato Eduardo, che era nello stesso palazzo dove da ragazzo aveva abitato Benedetto Croce, esisteva una ricca biblioteca, formata prevalentemente da testi giuridici e da classici italiani, latini e greci, che si veniva progressivamente arricchendo.
L’impazienza e un forte desiderio di venire a contatto col mondo in tutte le sue contraddizioni indussero il Doria a non continuare la professione di avvocato del padre e del nonno e a darsi a un mestiere molto più avventuroso e moderno, il giornalismo.
Recatosi nell’America del Sud, vi imparò bene lo spagnolo e il portoghese e dal 1910 al 1918 collaborò a vari giornali (il Giornale d’Italia di Buenos Aires, il Fanfulla di San Paolo, il Corriere italiano di Rio de Janeiro). Tornato in Italia per richiamo militare, si rese conto che un’epoca era finita, insieme con le sue speranze e le sue follie, e che stava delineandosi una nuova cultura brutale, priva di tabù, rozza, nata dall’irrompere sulla ribalta della storia della società di massa. A lui sembrò di restare un superstite e un testimone disincantato. Ma non fu fiacco o rinunciatario. Collaborò come critico musicale e drammatico dal 1919 al Giornale della sera napoletano e poi al Giorno di Matilde Serao, di cui divenne redattore capo. Ostile a prendere la tessera del Partito nazionale fascista, nel 1927 fu radiato dall’albo dei giornalisti, poiché un suo articolo, Romolo, Remo e C., apparso sulla Fiera letteraria diretta da U. Fracchia il 20 febbraio 1927, aveva profondamente irritato Mussolini.
Gino Doria è stato probabilmente uno degli uomini del passato che tutti i napoletani dovrebbero ringraziare. Fu infatti l’autore di pubblicazioni storiche dal valore incalcolabile, che hanno ricostruito e salvato la storia di tutte le strade della città . Il suo libro più famoso, “Le strade di Napoli“, ancora oggi ci aiuta a ricostruire la storia dei nomi di tutte le strade di quella città .
Testi straordinari come “Storia di una Capitale” e i tanti approfondimenti sulle vicende della Costiera Sorrentina sono delle raccolte ancora oggi semplici da leggere e le più affidabili come poche fonti storiche.
Appartatosi sdegnato dalla scena pubblica, visse tra ricerche erudite e storiche e prove narrative, confortato dal quotidiano e affettuosissimo dialogo con Benedetto Croce, che costituiva uno dei fondamentali assi di aggregazione dell’antifascismo in Italia. Ebbe anche l’amicizia e la stima di A. Omodeo, F. Flora, L. Russo, M. Vinciguerra, R. Pane, R. Ricciardi, A. Parente, F. Chabod, C. De Lollis, E. Guardascione, T. de Marinis.
Alla caduta del fascismo, fu vicedirettore del primo giornale napoletano uscito nella città libera, Il Risorgimento, diretto da Floriano Del Secolo. Ma la nuova stagione giornalistica non fu né lunga, né intensa. Ormai, nel Doria prevalevano definitivamente gli interessi della ricerca e della produzione letteraria, che si erano irrobustiti durante il ventennio fascista.
In lui, tuttavia, non scomparve mai l’elzevirista, anzi il saggista dagli interventi lucidi, puntuali, fulminanti. Ma si trattò, dal secondo dopoguerra fino alla morte, di un’inclinazione tenuta fortemente sotto controllo.
Assunta nel giugno del 1945 la direzione del Museo nazionale di S. Martino al Vomero, il quartiere che si veniva selvaggiamente espandendo e dove egli abitava con la famiglia, attese ad una puntigliosa, appassionata ed esemplare sistemazione del materiale ivi raccolto e non tutto bene valorizzato e conservato. In quest’opera, egli si mosse con sicurezza e finezza insieme, ma non senza l’angoscia di non poter disporre degli aiuti e dello spazio adeguati a dare collocazione dignitosa a tutto il materiale, fra cui poté fare anche splendide scoperte (un pacco di vedute di Gaetano Gigante, il padre di Giacinto, scene popolari di Achille Vianelli, inediti di Domenico Morelli).
Nel 1961 fu nominato soprintendente alle Gallerie ed Opere d’arte della Campania.
Nel 1967 ebbe il premio Napoli per due fondamentali opere pubblicate l’anno prima: Murat re di Napoli e Mondo vecchio e nuovo mondo.
Trascorse gli ultimi anni nella sua casa di via Timavo al Vomero, da dove guardava verso i Campi Flegrei. Circondato dall’affetto di amici, bibliofili, scrittori, eruditi, editori, continuò i suoi studi fino alla fine, di tanto in tanto rilasciando generose note prefative a cataloghi per mostre di pittura, a traduzioni, a stampe e a ristampe di opere essenziali per la storia della cultura napoletana.
Morì a Napoli l’11 gennaio 1975. Per sua volontà fu sepolto nel cimitero della “materna” Massa Lubrense.