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Il giornalista Indro Montanelli è morto il 22 luglio 2001 all’età di 92 anni, dopo essere stato ricoverato per tre settimane in una clinica di Milano in seguito ad un malore.
Era nato il 22 aprile 1909 a Fucecchio, un paesino a metà strada tra Pisa e Firenze, a sentire quanto disse lui stesso crebbe con la passione del giornalismo scritta nel sangue, forse trasmessa dal DNA del nonno, Giuseppe Montanelli, anch’egli scrittore nonché politico. In realtà a Fucecchio trascorse soltanto i primi cinque anni di vita. L’infanzia e l’adolescenza lo vedranno cambiare di frequente residenza (Lucca, Nuoro e Rieti, dove frequenta quarta e quinta ginnasiale, e poi il liceo classico), per via del lavoro del padre, insegnante di storia e filosofia. Nel paesino toscano Indro ritorna però per le vacanze, a casa di uno zio che gli era molto affezionato, e a Fucecchio si riconducono – come scrivono Sandro Gerbi e Raffaele Liucci, suoi biografi – diversi aspetti della sua «educazione sentimentale». L’amore per la natura incontaminata, la passione per la caccia, e una certa idea della toscanità: ruvida, individualista, insofferente alle regole imposte dall’alto, anticlericale, diffidente verso la modernità.
Dopo aver conseguito due lauree, una in giurisprudenza e l’altra in scienze politiche, emigra in Francia dove assunto da “Paris Soir” inizia la sua carriera come reporter. Cresciuto e plasmato però sotto l’egida del fascismo nel 1935 decide di partire e arruolarsi nel ventesimo battaglione eritreo, esperienza raccontata in un diario pubblicato e recensito in Italia in maniera entusiastica da Ugo Ojetti (un mostro sacro della carta stampata purtroppo caduto nel dimenticatoio). Questa del diario è ancora la fase dello “scrittore” Montanelli, in cui però si intravede già la stoffa del grande testimone.
Intanto si reca in Spagna per il “Messaggero”, dove nei suoi resoconti si esprime senza peli sulla lingua contro il regime. Un atteggiamento che non può piacere al regime nostrano che ne ordina il rimpatrio, espellendolo non solo dal partito ma anche dall’albo professionale. Come contropartita, forse nell’illusione di addomesticarlo, viene mandato da Bottai a dirigere l’Istituto italiano di cultura in Estonia per un anno. Tornato in Italia, gli viene riconsegnata la tessera di giornalista, ma rifiuta di richiedere quella del Partito fascista.
E’ in questo momento storico che nella vita di Montanelli si affaccia il “Corriere della sera”, il quotidiano diventato poi per lui una sorta di seconda casa. L’allora direttore Aldo Borelli memore del contenuto e dello stile del famoso ‘Diari’, e consapevole delle qualità ormai dimostrate dal giovane inviato, lo vuole caparbiamente con sé nella sua scuderia. Mai intuizione si è rivelata più azzeccata, se è vero che il legame fra Montanelli e il quotidiano di via Solferino si è succeduto, pur con alti e bassi, per più di quaranta anni.
In seguito numerose sono state le testimonianze rese da questo acuto osservatore in una serie di reportages divenuti memorabili e che lo hanno innalzato al rango di principe del giornalismo.
E’ in Germania quando il Terzo Reich avanza verso Danzica e parla con Adolf Hitler in persona.
Poi va in Finlandia e Norvegia, e proprio le corrispondenze sul conflitto russo-finlandese lo impongono definitivamente come grande inviato. Nel 1944 finisce in prigione a San Vittore per antifascismo e viene condannato a morte dai nazisti, ma scampa miracolosamente alla fucilazione per intervento della madre, che riesce a far intercedere per lui l’allora arcivescovo di Milano, cardinale Ildefonso Schuster (ma questo lo scoprirà lui stesso solo qualche decennio dopo). La prigionia gli suggerisce uno dei suoi libri più belli, “Il generale Della Rovere“, che tradotto in film da Roberto Rossellini riceverà il Leone d’oro a Venezia.
Uscito da S. Vittore si rifugia in Svizzera ma finita la guerra, torna al “Corriere della sera” come inviato. Tra i primi a giungere nella Budapest insorta, Montanelli scrisse che non si trattava di ribelli borghesi, ma di “comunisti antistalinisti”, un’affermazione che gli attirerà gli strali della sinistra italiana.
Dalle colonne del Corriere il toscano ha giudicato negli anni l’Italia e gli italiani secondo un modello interpretativo che era stato proprio di alcuni suoi maestri come Prezzolini, il più ricordato e forse il preferito (anche per via di alcune affinità caratteriali). Ma il giornalista, pur fustigando da par suo tutti i difetti della gente italica e del suo stile, è sempre rimasto legato alla sua terra, testimoniando negli anni indiscutibile fedeltà ed attaccamento sentimentale.
Dopo le amarezze subite per via della conduzione orientata a sinistra del Corriere negli anni ’70, quando direttore era Piero Ottone, un Corriere che ormai il vecchio Indro non riconosceva più come suo, nel 1974 fondò con l’ausilio di alcuni colleghi e fuoriusciti del Corriere il “Giornale Nuovo”, poi conosciuto semplicemente come “il Giornale” (ma anche chiamato familiarmente “il Giornale di Montanelli“).
E’ la stagione del terrorismo, delle Br e anche Montanelli subisce un’attentato, per fortuna non mortale: gli sparano alle gambe il 2 giugno del 1977, accanto ai giardini di via Palestro, a Milano. La sua vecchia “casa”, il Corriere, nel darne la notizia non lo nomina neanche ma si limita a dedicargli una colonnina con l’indegno titolo di “Gambizzato un giornalista”.
Partito bene, con gli anni, però, anche il Giornale cominciò a perdere copie, entrando in un’insanabile crisi economica. Il quotidiano fu così rilevato da Silvio Berlusconi, che lo portò di nuovo ad alti livelli. Ma con la discesa in campo sul terreno della politica dell’imprenditore milanese vennero alla luce alcuni contrasti fra quest’ultimo e il grande giornalista circa la linea editoriale. L’anarchico Indro mai e poi mai avrebbe potuto piegarsi ad un diktat, da qualsiasi parte venisse, e così, all’alba degli ottant’anni decise di buttarsi nella direzione di un nuovo quotidiano “La Voce”, espressione di una destra liberale e anticonformista.
Purtroppo, nonostante le premesse, il risultato non fu dei migliori. “La Voce” chiuse ufficialmente il 12 aprile del 1995. A quel punto prima decise di collaborare con la rete tv TMC, non senza continuare a pubblicare sapidi editoriali sul Corriere, poi, con l’invenzione de “La stanza di Montanelli”, una rubrica basata sul dialogo con i lettori, decise di tornare alla grande al centro del dibattito politico e storico. Prima della Stanza l’allora direttore Paolo Mieli con un gesto che lo stesso Montanelli disse di non aver mai dimenticato, gli offrì la direzione del Corriere al posto suo, ma Indro forse ormai stanco preferì la formula più rilassata della posta dei lettori.