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Francesco Petrarca è nato ad Arezzo il 20 luglio 1304. Scrittore, poeta ed umanista ha svolto un ruolo molto importante per lo sviluppo della poesia italiana in volgare, anche se si considerava prevalentemente un autore di lingua latina. Figlio di un notaio fiorentino, Ser Petracco, esiliato per motivi politici, fin da piccolo Petrarca è stato costretto a seguire i vari spostamenti del padre, prima in altre città toscane e poi ad Avignone, in Francia. Ha trascorso l’infanzia tra Incisa, Arezzo e Pisa e dal 1311 si è trasferito a Carpentras, vicino ad Avignone. Avignone ha influito fortemente sulla formazione del Petrarca come luogo di scambio politico e culturale. L’arrivo, presso il papato, di scrittori e dotti provenienti da tutta Europa, ha favorito il confronto e il dibattito, unitamente alla conoscenza che si accumulava nelle numerose biblioteche private e al fiorente mercato letterario. Tutti elementi che si sono rivelati fondamentali per la sua formazione. Sin da piccolo ha dimostrato una passione per i classici antichi, soprattutto Virgilio e Cicerone, a tal punto da aver imparato a scrivere i suoi appunti ed i suoi pensieri in lingua latina. Dopo gli studi grammaticali compiuti sotto la guida di Convenevole da Prato, il padre però lo ha mandato prima a Montpellier e poi, dal 1320, a Bologna per studiare il diritto civile.
La sua costante, talora sconfinata, ammirazione per i classici ha un primo aspetto che interessa il filologo. Il Petrarca fu il primo di una foltissima schiera di devoti dell’antichità
“che andava frugando le città dei barbari, che visitava le deserte biblioteche delle vecchie abbazie “
come scrive il Carducci
Egli non lesinò mai fatiche né spese per procurarsi un sempre maggior numero di opere, massime quelle dimenticate nel Medioevo, copiando o facendo copiare da amanuensi quante gli riusciva impossibile comperare. Né ciò gli fu sufficiente: primo fra i moderni, si preoccupò collazionare diversi codici di una sola opera, col preciso intento di stabilire una lezione corretta del testo. Nasce così con lui la moderna critica filologica che tanta parte ebbe, poco meno di un secolo dopo, nella ricostruzione storica, grammaticale, archeologica, delle civiltà antiche. Alla letteratura latina egli si accostò con animo nuovo, fermamente intenzionato a scoprire nelle opere degli antichi scrittori se stesso, cioè l’uomo. Al Petrarca spetta perciò il merito di esserne stato il più illustre precursore dell’Umanesimo.
Il primo momento dell’attività letteraria del Petrarca è quello in cui nella sua mente aleggiano, con i volti di Scipione e Magone, di Massinissa e Sofonisba, il ricordo delle gloriose imprese romane: prendendo così forza e consistenza l’Africa, il De viris illustribus, il Rerum memorandarum.
Il “Secretum” (1342-1343), frutto di una profonda crisi religiosa, è un dialogo filosofico che mette in scena l’interiorità divisa del poeta e il suo dissidio, rappresentato dalle figure di Petrarca (personaggio) e Sant’Agostino; al loro confronto, che dura tre giorni, assiste una donna bellissima che è allegoria della verità. Il santo rappresenta la coscienza alta che scruta nell’animo inquieto del poeta, imputandogli una volontà fragile. Per questo segue una disamina dei sette peccati capitali con particolare attenzione all’accidia. Il dialogo si conclude con una considerazione della gloria terrena e dell’amore per Laura: mentre il poeta le considera due passioni positive, il santo le giudica delle distrazioni che allontano dalle cose divine.
Il Petrarca aveva sperato la gloria delle opere latine, cui amorosamente aveva dedicato gran parte delle sue cure; furono invece le opere volgari, precipuamente il “Canzoniere” (ultimato nel 1374, al quale Petrarca lavorò per gran parte della sua vita con continue revisioni), a legare il suo nome alla costante ammirazione ed imitazione dei lirici italiani e stranieri nel corso dei secoli.
Occorre ricordare anche i “Trionfi” (composti tra il 1340 e il 1342 e rielaborati fino alla morte, anche se mai portati a temine), un poema allegorico in terzine, scritto in volgare. Qui il poeta canta i trionfi di varie virtù: in una dimensione onirica e surreale il poeta incontra le loro prosopopee e, anche insieme a Laura, intraprende con esse un viaggio allegorico: il poema dà, quindi, conto di un percorso ideale che l’uomo compie, dal peccato alla redenzione, dall’amore caduco e terreno, alla beatitudine celeste che con la quale è possibile contemplare la donna amata nella gloria divina.
Francesco Petrarca morì di sincope nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374, il giorno prima del suo settantesimo compleanno. Dopo solenni funerali fu sepolto inizialmente nella Pieve di Santa Maria Assunta e solo successivamente nell’arca fatta erigere dal genero Francescuolo da Brossano. Ai funerali parteciparono le più importanti autorità cittadine come Francesco il Vecchio da Carrara, il vescovo di Padova e altri vescovi e molte altre personalità.
La tomba del Petrarca si trova nella parte bassa di Arquà Petrarca, nel sagrato della Chiesa di Santa Maria Assunta e rappresenta un elemento identitario ed un’attrattiva culturale e turistica forte come lo è la casa del Petrarca. Fu realizzata in marmo rosso di Verona e si ispira ai sarcofaghi romani e alla tomba di Antenore, il mitico fondatore di Padova. Sul sacello l’iscrizione in lingua latina dettata dallo stesso Petrarca: “Questa pietra ricopre le fredde ossa di Francesco Petrarca, accogli o Vergine Madre, l’Anima sua e tu, figlio della Vergine, perdona. Possa essa stanca della terra, riposare nella rocca celeste”.