La ricerca letteraria del giorno su #babelezon
Il 1 gennaio 1939 è chiamato all’Università di Siena e alla fine del 1940 all’Università di Padova. Il 1 gennaio 1942 matura la nomina a professore ordinario. Nell’ottobre 1942 aderisce al Partito d’Azione clandestino, dopo avere partecipato alla formazione del movimento liberalsocialista, nato all’ombra della Scuola Normale Superiore di Pisa e fondato da Guido Calogero e Aldo Capitini. Il 28 aprile 1943 sposa Valeria Cova, dalla loro unione nasceranno i figli Luigi, Andrea e Marco. Il 6 dicembre 1943 è arrestato a Padova per attività clandestina e rimane in carcere agli Scalzi di Verona fino alla fine di febbraio del 1944. Dal 1940 al 1948 insegna a Padova salvo il 1943-1944 che trascorre in gran parte a Torino, impegnato nell’attività politica clandestina come membro del Partito d’Azione, e il 1944-1945 durante il quale tiene il corso di Filosofia del diritto come supplente del maestro Solari. Dopo la Liberazione, dall’aprile del 1945 all’autunno del 1946, collabora regolarmente a “Giustizia e Libertà”, quotidiano torinese del Partito d’Azione diretto da Franco Venturi. Candidato per il Partito d’Azione alle elezioni del 1946 per l’Assemblea costituente nella circoscrizione di Padova, Rovigo, Vicenza e Verona ma non viene eletto. Partecipa all’attività del Centro di studi metodologici, nato a Torino nel ’46 per iniziativa di Ludovico Geymonat e di Nicola Abbagnano con lo scopo di favorire l’incontro tra cultura scientifica e cultura umanistica.
Il 3 marzo 1948 è chiamato all’Università di Torino, titolare di Filosofia del diritto fino al 1972, presso la Facoltà di Giurisprudenza, dove trascorre la metà dei suoi quasi cinquant’anni d’insegnamento. Sempre all’Università di Torino, nel 1962 assume l’incarico, che terrà fino al 1971, d’insegnante di Scienza politica. Nel 1972 si trasferisce nella da poco costituita Facoltà di Scienze Politiche di Torino, titolare della cattedra di Filosofia della politica, e vi insegna fino al 16 maggio 1979, giorno in cui tiene l’ultima lezione universitaria. Il 1° novembre 1984 lascia definitivamente l’Università. E’ stato collaboratore di importanti riviste scientifiche tra cui la Rivista di Filosofia, di cui è stato prima condirettore insieme a Nicola Abbagnano e poi direttore fino al 1984, e Comprendre, la rivista della Société Européenne de Culture, fondata da Umberto Campagnolo nel 1950: Bobbio ha diretto la rivista per alcuni anni dopo il 1976 e, fin dalla fondazione, ha partecipato all’attività della Società, nata con lo scopo di promuovere una “politica della cultura” distinta dalla “politica dei politici”. Socio nazionale dell’Accademia delle Scienze di Torino e dell’Accademia dei Lincei, ha collaborato all’attività di altre istituzioni nazionali e internazionali.
Tra le onorificenze si ricordano il Premio Balzan (1994) e il Premio Hegel (2000). Dopo l’esperienza del Partito d’Azione, non ha aderito ad altri partiti. Ha partecipato alla lotta condotta dal movimento di Unità popolare contro la legge elettorale maggioritaria nel 1953 e alla Costituente del Partito socialista unificato nel 1967.
Il 18 luglio 1984 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo ha nominato Senatore a vita.
Forse il più bel ritratto di Bobbio lo dobbiamo a lui stesso, che così si descrisse:
“‘Dalla osservazione della irriducibilità delle credenze ultime ho tratto la più grande lezione della mia vita. Ho imparato a rispettare le idee altrui, ad arrestarmi davanti al segreto di ogni coscienza, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare. E poiché sono in vena di confessioni, ne faccio ancora una, forse superflua: detesto i fanatici con tutta l’anima.”
A riconoscimento di un’intera vita lucidamente dedicata alle scienze del diritto, della politica, della filosofia e della società, tra dubbio e metodo, tra ethos e laicità, Bobbio ricevette lauree honoris causa da molte università, tra le quali quelle di Parigi (Nanterre), Buenos Aires, Madrid (tre, in particolare alla Complutense) e Bologna, e vinse il Premio europeo Charles Veillon per la saggistica nel 1981, il Premio Balzan del 1994, ed il Premio Agnelli nel 1995.
Nel 1997 pubblicò la sua autobiografia. Nel 1999 uscì una terza edizione aggiornata del suo best seller, ormai tradotto in una ventina di lingue.
Nel 2001, alla morte della moglie Valeria, Bobbio iniziò un graduale ritiro dalla vita pubblica, pur rimanendo in attività e curando ulteriori pubblicazioni. Fecero rumore le sue osservazioni critiche sia nei confronti di Silvio Berlusconi sia della partitopenia (ossia mancanza di partiti)], e le riflessioni sulla crisi della sinistra e della socialdemocrazia europea.
Il 18 ottobre 2003 ricevette il “Sigillo Civico” della sua Torino “per l’impegno politico e il contributo alla riflessione storica e culturale”. Dopo avervi trascorso la maggior parte della vita, Norberto Bobbio morì a Torino il 9 gennaio 2004. Secondo le sue volontà, alcuni giorni dopo la morte, la salma venne tumulata, con una cerimonia civile strettamente privata, nel cimitero di Rivalta Bormida, comune piemontese in provincia di Alessandria.
Filosofo, giurista e politologo, professore per lunghi anni all’università di Torino, Norberto Bobbio è una delle più illustri figure della cultura del Novecento italiano. Il suo pensiero etico-politico è caratterizzato fin dai suoi esordi da una profonda fede, insieme teorica e pratica, nel principio della responsabilità civile della riflessione intellettuale. Su questo fondamento Bobbio ha elaborato durante gli anni della guerra le sue proposte teoriche in polemica contro i vari orientamenti della filosofia novecentesca, dall’idealismo all’esistenzialismo. Per Bobbio, infatti, la crisi contemporanea non può essere compresa né attraverso una ” decadente ” meditazione sull’esistenza individuale, come egli sostiene nell’opera La filosofia del decadentismo (1944), né attraverso una nuova escatologia storica, ma solo ritornando alla lezione del razionalismo metodologico illuministico .
Ecco allora che la riflessione di Bobbio, prendendo le distanze dal pensiero idealistico, quale sapere “accademico”, “retorico” e non concretamente riformatore, criticando gli aspetti irrazionalistici dell’esistenzialismo e quelli utopistici del marxismo, si è andata sempre più orientando verso la filosofia analitica anglosassone, che egli applica allo studio del linguaggio giuridico (proposizioni prescrittive).
La raccolta di scritti su Politica e cultura , pubblicata negli anni ’50, preciserà la sua posizione su questo importante tema. I filosofi e gli intellettuali in genere, scrive Bobbio, debbono ” seminare dubbi, non già raccogliere certezze ” : in Politica e cultura Bobbio scrive che ” il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze. Di certezze- rivestite della fastosità del mito o edificate con la pietra dura del dogma- sono piene, rigurgitanti, le cronache della pseudo-cultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati. Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere, e non pronunciarsi e non decidere mai a guisa di oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva. Vi è qui uno degli aspetti del ‘tradimento dei chierici’; e il più importante, a mio avviso, perché non è limitato dal mondo contemporaneo ma si riconnette alla figura romantica del filosofo-profeta: trasformare il sapere umano, che è necessariamente limitato e finito, e quindi richiede molta cautela insieme con molta modestia, in sapienza profetica. Donde deriva la posizione, così frequente tra i filosofi, di ogni problema in termini di alternativa, di aut-aut, di opzione radicale. O di qua o di là. Ascoltate il piccolo sapiente che respira la nostra aria satura di esistenzialismo: vi dirà che i problemi non si risolvono, ma si decidono. E’ come dire che il nodo- questo nodo aggrovigliatissimo dei problemi dell’uomo nella società di oggi- non essendo possibile scioglierlo, bisogna tagliarlo. Ma, appunto, per tagliarlo, non è necessaria la ragione (che è l’arma dell’uomo di cultura). Basta la spada “.
Non si tratta dunque di essere profeti, ma osservatori della realtà capaci di descriverne le strutture. L’impegno dell’intellettuale consiste appunto in questo lavoro di analisi e descrizione, nel porre in questione le pretese assolutizzanti delle diverse ” versioni del mondo ” in contrasto fra loro e, soprattutto, nel demistificare ogni sintesi ultima e definitiva.
Ecco allora che Bobbio propone un modello di ” filosofia militante ” come “filosofia del dubbio“, e una teoria dell’impegno dell’intellettuale come militante della ragione:
“non vi è nulla di più seducente, oggi, che il programma di una filosofia militante contro la filosofia degli ‘addottrinati’. Ma non si confonda la filosofia militante con una filosofia al servizio di un partito che ha le sue direttive, o di una chiesa che ha i suoi dogmi, o di uno stato che ha la sua politica. La filosofia militante che ho in mente è una filosofia in lotta contro gli attacchi, da qualsiasi parte provengano- tanto da quella dei tradizionalisti come da quella degli innovatori- alla libertà della ragione rischiaratrice. […] al di là del dovere di entrare nella lotta, c’è, per l’uomo di cultura, il diritto di non accettare i termini della lotta così come sono posti, di discuterli, di sottoporli alla critica della ragione “.
Criticando sia ogni engagement strumentale ad effimeri o unilaterali fini pratico-politici, sia un esercizio libero ma disimpegnato e irresponsabile della cultura, Bobbio identificava il lavoro intellettuale nella difesa delle condizioni di esistenza e di sviluppo della cultura stessa. Fra la fine degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60, Bobbio scrive opere significative di teoria generale del diritto e della giustizia, divenendo un convinto sostenitore di un “positivismo giuridico” inteso come analisi rigorosa dei sistemi normativi esistenti: egli tratta di ciò in svariate opere, quali Teoria della norma giuridica (1958), Teoria dell’ordinamento giuridico (1960), Il positivismo giuridico (1961), Giusnaturalismo e positivismo giuridico (1965).
Agli stessi anni risalgono importanti saggi su Hobbes, Marx, Mosca, Pareto, la classe politica e la democrazia: ricordiamo la curiosa e geniale teoria bobbiana. fa notare che in ogni epoca ci sono categorie di pensiero fondamentali che , talvolta , sono così forti da costringere a servirsi di esse anche chi non la pensa così perché altrimenti non verrebbe compreso , visto che tutti si avvalgono di quelle categorie . Bobbio, nel caso di Hobbes, nota come il pensatore seicentesco si serva di categorie giusnaturalistiche particolarmente in voga all’ epoca per poi fornire un contenuto sostanzialmente giuspositivista ( giuspositivismo: non c’ é alcun diritto naturale, ma solo diritti imposti dagli Stati ); in realtà Hobbes propugna tesi giuspositiviste camuffandole da giusnaturaliste : in ultima istanza ciò che é giusto o sbagliato lo é perché lo decide il sovrano e non perché di per sé sia giusto o sbagliato. La convinzione di fondo che aleggia nella filosofia bobbiana è che, dopo Hegel, per evitare ogni cedimento ad atteggiamenti dogmatici o metafisici, la sola via che la filosofia può percorrere è la continuazione del razionalismo metodologico dell’Illuminismo, garanzia di rigore e di impegno. Questo “neoilluminismo” investe altri campi, come la storia della filosofia e delle dottrine politiche, la storia della cultura e degli intellettuali nell’Italia contemporanea, nonché il dibattito politico sui temi di attualità (la pace, la democrazia, la guerra ecc.), nella convinzione che la partecipazione al dibattito pubblico sia necessaria per ampliare il dialogo e il pluralismo, che sono alla base della convivenza democratica. Ed è riflettendo sulla democrazia realizzatasi in Italia nel dopoguerra che nel 1970, presentando una raccolta di suoi scritti su Carlo Cattaneo, egli traccia un lucido e amaro bilancio di un’intera generazione di intellettuali: ” inseguimmo le ‘alcinesche seduzioni’ della Giustizia e della Libertà; abbiamo realizzato ben poca giustizia e forse stiamo perdendo la libertà “. Si tratta di un giudizio per un verso direttamente ispirato agli eventi politici di quegli anni, per un altro verso connesso a una nuova problematizzazione del ruolo della cultura e dell’intellettuale nel progresso della società civile. Certo, anche nei suoi interventi successivi Bobbio ribadirà che il primo ufficio degli intellettuali è l’indagine razionale (neutra) dei mezzi, non già l’indicazione dei fini. Ma discutendo nuovamente il rapporto democrazia-socialismo (uno dei nodi cruciali del suo pensiero più recente) egli fornirà una nuova interpretazione del compito etico-politico della riflessione: un compito indicato nell’elaborazione di concezioni insieme giuste e realizzabili intorno agli obiettivi e alle regole della convivenza civile. Tale indicazione è accompagnata da una valutazione assai cauta ed equilibrata del marxismo , ovvero della dottrina che maggiormente era parsa approfondire lo studio della realtà sociale. Da un lato Bobbio apprezza certi princìpi filosofici generali dell’opera marxiana (soprattutto in Da Hobbes a Marx , 1965) e l’istanza emancipativa presente (anche se troppo spesso in modi pesantemente condizionati da istanze di tutt’altro genere) nei movimenti politici ispiratisi a quell’opera: e Bobbio ha in mente, oltre alla dittatura staliniana, gli eventi della Cina comunista. Egli disse in merito in un’intervista: ” Quando accadde in Cina quel fatto che suscitò orrore quasi dovunque, e cioè l’uso delle armi per fermare gli studenti che a piazza Tienanmen manifestavano il loro dissenso dal governo comunista cinese, io scrissi su La Stampa un articolo in cui dicevo che il comunismo era una ‘utopia capovolta’, perché era un’utopia di liberazione degli esseri umani che si era capovolta nel suo contrario, e cioè nella costrizione e nell’oppressione degli esseri umani. Però, in quello stesso articolo, scrivevo anche che i motivi per i quali il comunismo era nato sono ancora vivi. Sono in grado le democrazie che governano i Paesi più ricchi del mondo di risolvere i problemi che il comunismo non è riuscito a risolvere? Questo è il problema. Il comunismo storico è fallito, non discuto. Ma i problemi restano, proprio quegli stessi problemi che l’utopia comunista aveva additato e ritenuto fossero risolvibili. Questa è la ragione per cui è da stolti rallegrarsi della sconfitta e fregandosi le mani dalla contentezza dire: ‘L’avevamo sempre detto!’. O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo “storico”) abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia? La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista? “. Tra l’altro, Bobbio è stato anche accusato per aver equiparato nazismo e comunismo, ma egli ha notato che se il risultato dei due totalitarismi fu pressoché il medesimo, diversi furono gli obiettivi che si erano prefissi: ” Certamente c’è una differenza importante tra i due movimenti: magari usavano gli stessi mezzi atroci e disumani, ma mentre nel nazismo erano ugualmente condannabili sia i mezzi sia i fini, invece nel comunismo lo erano i mezzi non i fini, spesso nobili (liberazione dall’oppressione dei rapporti di lavoro, pari dignità sociale dei cittadini) “. Bobbio non esita a denunciare nel marxismo sia la carenza di un’adeguata teoria delle istituzioni mediante le quali esercitare il potere in uno stato evoluto, sia il mancato sviluppo teorico-pratico del duplice nesso democrazia-socialismo e libertà-giustizia. Ciò su cui un pensiero autenticamente riformatore deve impegnarsi è invece proprio l’elaborazione dei quadri concettuali in rapporto ai quali una società può evolversi in direzione liberal-socialista, nonché, sul piano pratico, l’estensione degli istituti e dei costumi democratici nella società contemporanea: Bobbio esprime queste convinzioni in Quale socialismo? (1976) e Il futuro della democrazia (1984).