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La scrittrice sarda Grazia Deledda, prima e unica donna italiana ad aver vinto il Premio Nobel per la letteratura, si spegne a Roma il 15 agosto 1936, uccisa da un tumore al seno di cui soffriva da tempo, lasciando incompiuta la sua ultima opera “Cosima, quasi Grazia”, autobiografica, che apparirà nel Settembre di quello stesso anno sulla rivista “Nuova Antologia”, a cura di Antonio Baldini, e poi verrà pubblicata col titolo di “Cosima”.
Grazia Deledda nata a Nuoro il 28 settembre 1871, quinta di sette tra figli e figlie di una famiglia benestante. Dopo aver frequentato le scuole fino alla quarta elementare, Grazia Deledda proseguì gli studi con un precettore dal momento che al tempo, anche in Sardegna, le ragazze non frequentavano le scuole superiori. Di fatto la sua formazione, soprattutto letteraria, è stata da autodidatta.
Nella formazione letteraria della Deledda si sente forte l’influsso della letteratura russa, soprattutto delle opere di Lev Tolstoj, con cui la scrittrice sarda aveva preso confidenza fin dalla giovane età.
Di carattere quieto e trattenuto, la sua giovinezza venne segnata da una serie di tragedie famigliari molto dolorose: il fratello maggiore, Santus, abbandonò gli studi e divenne un alcolizzato, il più giovane, Andrea, fu arrestato per piccoli furti. Il padre morì per una crisi cardiaca quando Grazia Deledda aveva soltanto 21 anni e la famiglia dovette affrontare difficoltà economiche. Quattro anni più tardi morì anche la sorella Vincenza.
Nel frattempo però la giovane sarda aveva iniziato a scrivere. Pubblicò la sua prima novella nel 1886, all’età di quindici anni, su un giornale nuorese. Due anni dopo cominciò a collaborare con varie altri giornali e riviste, prima sarde e poi romane, di non particolare levatura. Poi pian piano, incomincia a diventare più nota e apprezzata.
Di sé scriveva
Io non sogno la gloria per un sentimento di vanità e di egoismo, ma perché amo intensamente il mio paese, e sogno di poter un giorno irradiare con un mite raggio le fosche ombrie dei nostri boschi, di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza.
Avrò tra poco vent’anni, a trenta voglio avere raggiunto il mio sogno radioso quale è quello di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda.
Sono piccina piccina, sa, sono piccola anche in confronto delle donne sarde che sono piccolissime, ma sono ardita e coraggiosa come un gigante e non temo le battaglie intellettuali.
Nell’ottobre del 1899 la scrittrice si trasferì a Roma e l’anno seguente sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, conosciuto a Cagliari due mesi prima.
Nel 1913 esce il suo capolavoro, Canne al vento, in cui pone al centro la fragilità dell’individuo travolto da un destino cieco e crudele.
Nel frattempo il verismo della sua narrativa, i toni cupi e l’ansia di liberazione delle sue opere, le storie di passioni primitive che racconta nei suoi romanzi fecero breccia nella critica, anche all’estero e il 10 dicembre 1926 venne la consacrazione più alta per uno scrittore: il conferimento del premio Nobel per la letteratura:
«per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano».