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La poetessa, scrittrice e femminista Sibilla Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio) nasce ad Alessandria il 14 agosto del 1876 e, ancora bambina, si trasferisce con la famiglia a Milano, dove compie la sua formazione.
Con il suo primo romanzo Una donna, il più importante della sua carriera letteraria, attraverso la scrittura, denuncia il ruolo tradizionale della donna attingendo al trauma del suo matrimonio, alla lotta femminista e alla perdita del figlio. Il libro accende il dibattito sulla questione femminile e viene tradotto in 12 lingue.
I primi anni della vita trascorrono però a Civitanova Marche, dove Rina, maggiore di quattro figli, vive nell’assenza della madre Ernesta – afflitta da una depressione che la porterà al tentato suicidio e poi all’infermità mentale – e vicinissima al padre Ambrogio, un ingegnere che le trasmette il suo ateismo e che resterà un modello di riferimento, fin quando la figlia non scoprirà il suo segreto: una relazione extraconiugale che la deluderà e la spingerà ad allontanarsi. La malattia della mamma porta poi Rina a farsi carico della gestione della casa e a lavorare molto presto: dirige una vetreria per sostenere le finanze familiari.
Mentre la scrittura si affaccia nella sua vita, resta incinta e, senza sapere che la gravidanza non giungerà a termine, è costretta a un matrimonio di facciata con un uomo mediocre e prepotente, che osteggia in tutti i modi la passione attiva che Rina nutre nei confronti del femminismo (allora agli albori) e col quale, nel 1895, avrà un figlio: Walter. Le pressioni dell’uomo, probabilmente, contribuiscono al tentativo di suicidio che la donna compie poco più tardi. Questo, insieme all’imposizione del marito di lasciare Milano, dove Rina dirige L’Italia femminile firmandosi Favilla, dopo aver scritto su Vita internazionale e Vita moderna, la spinge a rompere il matrimonio e a lasciare, dolorosamente, e contro la sua volontà, il figlio, per cui nutre un amore profondo e sincero.
Così, nel 1902, l’autrice si trasferisce a Roma, dove avviene l’incontro decisivo col direttore della Nuova antologia: Giovanni Cena che, romanziere e poeta, sceglie per lei lo pseudonimo di Sibilla Aleramo, rifacendosi alla «terra d’Aleramo» evocata da Carducci in Piemonte. Cena, a differenza del marito, la incoraggia e la fa sentire amata, condividendo l’abnegazione con cui Rina si impegna nel sociale, aiutando, ad esempio, i bambini bisognosi del quartiere di Testaccio.
Insieme al nuovo compagno, che ha una grande influenza sulla sua produzione letteraria, l’autrice presiede uno dei principali salotti romani e, nel 1906, pubblica quella che è considerata, ancora oggi, la sua opera cruciale: Una donna. Il romanzo, di spiccato impianto autobiografico, segna una svolta nel dibattito italiano sulla questione femminile, coinvolgendo intellettuali come Pirandello – che vede nel libro un esempio di nobiltà e schiettezza, capace di restituire, nella sua semplicità, un dramma grave e profondo – e, più in generale, il circolo di scrittori che orbita intorno alla Voce. È in questo periodo che lo scultore Leonardo Bistolfi ritrae l’autrice per la moneta da venti centesimi.
Il Passaggio è il secondo romanzo di Sibilla Aleramo, giunto a tredici anni dal suo discusso esordio Una donna, ripercorre alcuni eventi salienti della vita dell’autrice, la poliedrica figura paterna, la violenza subita e il matrimonio riparatore, la scelta necessaria quanto dolorosa di abbandonare il figlio per trovare se stessa.
Poco più tardi il rapporto con Cena inizia a sfaldarsi e Sibilla s’innamora di Lina Poletti, detta anche “la favola”, impiegata alla Biblioteca Classense di Ravenna, salvo poi rompere definitivamente sia con la donna che con Cena, a seguito dell’incontro con Nazareno Cardarello. Col giovane poeta l’autrice intrattiene un rapporto per lo più platonico e si trasferisce a Firenze, dove scrive il monologo Trasfigurazione e una serie di articoli che confluiranno nella raccolta Andando e stando.
Il 1914 si dedica alla stesura de Il frustino (1932), dove racconta dei tre uomini con cui, nell’estate di quell’anno, si divide: il pittore Michele Cascella, Clemente Rebora e Giovanni Boine. Il rapporto che più nella vita dell’autrice ha assunto un che di leggendario, resta però quello con il poeta Dino Campana, autore del celeberrimo I canti orfici. Si tratta di un amore turbolento e breve, che però sconvolge l’ambiente letterario, soprattutto per le parole orribili con cui Campana, prima di essere internato, si esprime sull’amante. La stessa Sibilla non stenta a raccontare quei giorni folli e febbrili ne Il passaggio (1919), l’autobiografia romanzata che, a dispetto delle sue enormi aspettative, viene giudicata indecente. Alla loro relazione s’ispira, inoltre, il film Un viaggio chiamato amore, che esce nel 2002 con la regia di Michele Placido.
La vita si complica con l’avvento del Fascismo: Sibilla, infatti, è nota per le sue posizioni socialiste, frequenta un deputato coinvolto nel progetto di uccidere Mussolini nel 1925 e, per questo, viene arrestata perché tacciata di complicità. La donna, alla fine, viene rilasciata, ma quanto accaduto segna la fine della sua carriera giornalistica.
Gli anni successivi sono segnati da nuovi incontri, come quello con Goffredo Parise, a cui l’autrice dedica Amo dunque sono (1927). Nel 1936, invece, la scrittrice conosce il giovane Matacotta, cui resta legata per dieci anni, come descritto nei diari che l’accompagneranno fino alla morte e come si evince dalla raccolta di poesie Selva d’amore. Della produzione poetica dell’autrice vanno poi ricordati Aiutami a dire e Luci della mia sera (1956), emblematici della sua fede comunista.
Sibilla Aleramo muore a Roma il 13 gennaio del 1960 è stata la prima donna, in Italia, a rifiutare pubblicamente il ruolo tradizionale di madre e di moglie attraverso la propria attività letteraria e giornalistica.