La ricerca letteraria del giorno su #babelezon
Malato di cancro da tempo, il grande commediografo Arthur Miller è morto all’età di 89 anni l’10 febbraio 2005.
Arthur Asher Miller nasce a Manhattan (New York) il 17 ottobre 1915 da famiglia ebrea benestante, è stato un drammaturgo, scrittore, giornalista e sceneggiatore statunitense.
Il suo “Morte di un commesso viaggiatore” è una delle pietre miliari del teatro americano contemporaneo, in cui si fondono alla perfezione i temi a lui più cari: quelli del conflitto familiare, della responsabilità etica individuale e della critica a un sistema economico e sociale spietato e spersonalizzante. Capolavoro assoluto, fortunatamente è stato riconosciuto come tale dalla critica che lo ha gratificato con numerosi premi, fra cui il prestigioso Pulitzer.
Dopo la crisi del 1929 deve affrontare le difficoltà e lavorare per mantenersi e frequentare la scuola di giornalismo dell’Università del Michigan. Non tarda a scoprire la sua vera vocazione, quella del teatro, nel quale esordisce a soli ventuno anni. Dopo la laurea conseguita nel 1938 frequenta un corso di drammaturgia grazie ad una borsa di studio e viene ammesso al seminario del Theatre Guild.
Scrive copioni per la radio e debutta a Broadway con “L’uomo che ebbe tutte le fortune” nel 1944, un’opera che, pur ottenendo il parere lusinghiero dei critici, viene replicata solo quattro volte. Si cimenta anche nell’ambito della narrazione con “Situazione normale” e nel 1945 con “Focus”, romanzo sul tema dell’antisemitismo nella società americana.
“Erano tutti miei figli“, del 1947, è il primo lavoro teatrale di successo ed è subito seguito nel 1949 dal già ricordato “Morte di un commesso viaggiatore“, (sottotitolo “Alcune conversazioni private in due atti e un requiem”), che fu salutato in America come una sorta di evento nazionale, (a Broadway 742 repliche). Il protagonista Willy Loman è il paradigma del sogno americano del successo e dell’autoaffermazione, che si rivela in tutta la sua ingannevole precarietà .
Il 22 gennaio 1953 è la volta de “Il Crogiuolo”, conosciuto anche con il titolo di “Le streghe di Salem”, testo che, ripercorrendo una vicenda di “caccia alle streghe” avvenuto nel 1692, allude al clima di persecuzione inaugurato dal senatore Mac Carthy, contro l’ideologia comunista (ne farà esperienza più tardi lo stesso Miller).
Il 29 settembre 1955 va in scena “Uno sguardo dal ponte”, una tragedia con risvolti incestuosi in un ambiente di emigranti italiani in America, abbinata a “Memorie di due Lunedì”, un testo autobiografico, una sorta di “metafora” dell’incomunicabilità e della solitudine di un intellettuale.
Trascorrono poi anni di silenzio creativo in cui Arthur Miller vive la sua breve esperienza matrimoniale – dal 1956 al 1960 – con Marilyn Monroe, la seconda delle sue tre mogli.
È del 1964 “La caduta“, che racconta l’esperienza di un ménage controverso fra un intellettuale e un’attrice, opera in cui tutti hanno intravisto risvolti autobiografici, mentre Miller si è sempre accanito a negarli. Dello stesso anno “Incidente a Vichy” parla di ebrei arrestati in Francia dai nazisti.
Nel 1973 esce “Creazione del mondo e altri affari”; nel 1980 “Orologio americano” (un affresco di vita americana durante la grande depressione); nel 1982 due atti unici “Una specie di storia d’amore” e “Elegia per una signora”; nel 1986 “Pericolo: Memoria”; nel 1988 “Specchio a due direzioni”; nel 1991 “Discesa da Mount Morgan”; nel 1992 “L’ultimo Yankee” e nel 1994 “Vetri rotti”, dove ancora una volta si intrecciano psicanalisi, drammi storici sociali e personali, con una sottile denuncia nei confronti della responsabilità individuale.
Arthur Miller sembra comunque non essersi mai completamente liberato dal fantasma di Marilyn. A 88 anni suonati è tornato su quella tormentata relazione con un nuovo dramma, intitolato “Finishing the Picture” ( che può esser tradotto come “finire il film” o “finire il quadro”), la cui anteprima mondiale è andata in scena al Goodman Theater di Chicago per la regia di Robert Falls.