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Wisława Szymborska muore a Cracovia il 1° febbraio 2012 dopo una lunga malattia. E’ stata una poetessa e saggista polacca Premiata con il Nobel per la letteratura nel 1996 e con numerosi altri riconoscimenti. Nelle sue poesie ha affrontato più volte la tematica della morte affermando: “Non c’è vita che almeno per un attimo non sia stata immortale“.
Wisława Szymborska nasce il 2 luglio del 1923 a Cracovia, in Polonia. La sua infanzia e l’adolescenza sono funestate dallo scoppio della seconda guerra mondiale. La giovane Wisława è costretta, infatti, a proseguire gli studi in clandestinità, ed è in questo modo che riesce a diplomarsi nel 1941. Nel 1943, grazie al lavoro come dipendente delle ferrovie, evita la deportazione in Germania in qualità di lavoratrice forzata. Nello stesso periodo inizia anche la sua carriera artistica: si dedica a illustrare un libro scolastico in inglese.
Si iscrive all’università nel 1945 alla facoltà di letteratura per poi passare a quella di sociologia, ma non terminerà mai gli studi. Dopo tre anni deve abbandonare definitivamente per il sopraggiungere di seri problemi economici. Ha però la fortuna di incontrare il saggista e poeta Czeslaw Milosz, Premio Nobel per la letteratura nel 1980, che la coinvolge nella vita culturale della capitale polacca.
La sua prima poesia, “Cerco una parola“, viene pubblicata il 14 marzo nel 1945 nel settimanale “Walka” che usciva come un supplemento al giornale “Dziennik polski” a Cracovia. La poesia è alla ricerca di una frase capace d’inglobare l’assurdo e inspiegabile odio, fattore scatenante di atroci sofferenze. Lo stermino degli ebrei polacchi, viene rappresentato attraverso una poesia drammatica ed efficace.
Voglio con una parola
Descriverli –
Prendo le parole quotidiane, dai dizionari le rubo
Misuro, peso e scruto –
Nessuna
corrisponde.
Le più ardite – sanno di codardia,
le più sdegnose – ancora sante.
Le più crudeli – troppo compassionevoli,
Le più odiose – tropo poco violente.
Questa parola deve essere come un vulcano,
che erutta, scorre, abbatte,
come terribile ira di Dio,
come odio bollente.
Voglio, che questa unica parola,
sia impregnata di sangue,
che come le mura tra cui si uccideva
contenga in sé tutte le fosse comuni.
Che descriva precisamente e con chiarezza
chi erano loro – tutto ciò che è successo.
Perché questo che ascolto,
perché questo che si scrive
è ancora tropo poco.
La nostra lingua è impotente,
i suoi suoni all’improvviso – poveri.
Cerco con lo sforzo della mente
cerco questa parola –
ma non riesco a trovarla.
Non riesco.
Inizialmente tutti i suoi scritti subiscono la stessa sorte, in quanto prima di essere pubblicati in formato cartaceo devono passare il vaglio della censura. La sua prima vera e propria raccolta poetica, “Per questo viviamo“, sarà pubblicata molto più tardi nel 1952, favorita dalle poesie che inneggiano al regime socialista. Una precedente raccolta, infatti, non viene data alle stampe come previsto perché giudicata troppo priva di contenuti socialisti. Eppure Wisława, come molti altri intellettuali in quel periodo, abbraccia l’ideologia socialista in maniera ufficiale, tramite cioè la partecipazione attiva alla vita politica del suo paese. Aderisce inoltre al Partito Operaio Polacco, rimanendone un membro fino al 1960.
Più tardi prende le distanze da queste sue posizioni ideologiche, che lei stessa definisce “Un peccato di gioventù” e rende pubbliche le sue riflessioni in una raccolta di poesie, “Domande poste a me stessa“, del 1954. Nonostante il suo allontanamento definitivo dal partito sia datato 1960, già prima si mette in contatto con i dissidenti e rinnega quanto scritto nelle sue prime due raccolte poetiche.
Alterna l’attività poetica, baciata dalla fortuna nel 1957 con la raccolta “Appello allo yeti“, con il lavoro di redattrice presso la rivista “Vita Letteraria” sulla quale pubblica una serie di saggi “Letture facoltative” poi riprese in volume. Nello stesso periodo collabora anche alla rivista “Kultura”, curata da immigrati polacchi a Parigi.
La fine e l'inizio «Dopo ogni guerra c’è chi deve ripulire. In fondo un po' d’ordine da solo non si fa. C’è chi deve spingere le macerie ai bordi delle strade per far passare i carri pieni di cadaveri. C’è chi deve sprofondare nella melma e nella cenere, tra le molle dei divani letto, le schegge di vetro e gli stracci insanguinati. C’è chi deve trascinare una trave per puntellare il muro, c’è chi deve mettere i vetri alla finestra e montare la porta sui cardini. Non è fotogenico e ci vogliono anni. Tutte le telecamere sono già partite per un’altra guerra. Bisogna ricostruire i ponti e anche le stazioni. Le maniche saranno a brandelli a forza di rimboccarle. C’è chi, con la scopa in mano, ricorda ancora com’era. C’è chi ascolta annuendo con la testa non mozzata. Ma presto lì si aggireranno altri che troveranno il tutto un po’ noioso. C’è chi talvolta dissotterrerà da sotto un cespuglio argomenti corrosi dalla rugginee li trasporterà sul mucchio dei rifiuti. Chi sapeva di che si trattava, deve far posto a quelli che ne sanno poco. E meno di poco. E infine assolutamente nulla. Sull’erba che ha ricoperto le cause e gli effetti, c’è chi deve starsene disteso con la spiga tra i denti, perso a fissare le nuvole». da La fine e l’inizio, 1993
Le sue poesie, spesso molto brevi, sono costituite da versi liberi, scritti in maniera semplice e con una scelta accurata delle parole. Wisława Szymborska utilizza l’arma dell’ironia e del paradosso per affrontare problemi etici e umani di ampio respiro che diventano motivo di denuncia per lo stato delle cose in cui il mondo intero si ritrova a vivere. Tutte le sue poesie sono legate all’attualità del suo tempo storico. Scrive, infatti, componimenti che hanno come tema la compilazione del curriculum vitae, o che ritraggono l’infanzia di personaggi come Adolf Hitler.
La sua opera vive e si nutre anche di una intensa attività di contestatrice che diviene sempre più significativa negli anni Ottanta durante i quali si impegna a favore del sindacato Solidarnosc di Lech Walesa. Nel 1996 viene insignita del Premio Nobel per la letteratura. La motivazione che accompagna il premio recita: «per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà».
La poetessa accoglie il premio con sorpresa ed emozione, lei stessa si domanda come sia possibile un tale successo.
Contribuisce alla diffusione della poesia francese in Polonia grazie alla traduzione di alcuni poeti barocchi e cura un’antologia di poesia ebraica. La sua ultima raccolta, pubblicata nel 2005, ha un enorme successo, e in una settimana ne vengono vendute quarantamila copie.