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Il 23 dicembre 1896 nacque a Palermo (Sicilia) il Duca di Palma di Montechiaro e principe di Lampedusa, Giuseppe Tomasi. Nobile e scrittore italiano.
Letterato di complessa personalità e autore del noto romanzo Il Gattopardo, fu un personaggio taciturno e solitario e trascorse gran parte del suo tempo nella lettura. Ricordando la propria infanzia scrisse: ero un ragazzo cui piaceva la solitudine, cui piaceva di più stare con le cose che con le persone.
Dal punto di vista scolastico, educatrici di Giuseppe – che compie i suoi studi nella sua grande casa di Palermo – sono una maestra, la stessa madre – che insegna al figlio il francese – e la nonna che al piccolo leggeva i romanzi di Emilio Salgari. A partire dal 1911 Tomasi frequenta il liceo classico a Roma; completerà comunque gli studi a Palermo. Sempre a Roma nel 1915 si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza; non terminerà però gli studi. Sempre nel 1911 viene chiamato alle armi: partecipa alla disfatta di Caporetto e viene fatto prigioniero dagli austriaci. Rinchiuso in un campo di concentramento ungherese, riesce a fuggire tornando a piedi in Italia. Viene dimesso dall’esercito con il grado di tenente e fa ritorno in Sicilia, nella sua casa. Da qui alterna al riposo qualche viaggio, sempre in compagnia della madre che mai lo abbandona: nel frattempo compie studi sulle letterature straniere. Nel 1925 si trova a Genova insieme al cugino e poeta palermitano Lucio Piccolo: qui resta per circa sei mesi, collaborando alla rivista letteraria “Le opere e i giorni”.
Nel 1932 sposa a Riga (oggi capitale della Lettonia) la studiosa di psicanalisi Alexandra Wolff Stomersee – detta Licy – di nobile famiglia di origini tedesche. La coppia si traferisce a Palermo presso la madre di Giuseppe Tomasi; ben presto le incomprensioni e l’incompatibilità di carattere tra le due donne fa decidere a Licy di tornare nella sua città.
Nel 1934 il padre Giulio Tomasi muore e Giuseppe eredita il titolo nobiliare. Viene richiamato in guerra nel 1940 ma viene presto congedato, perchè a capo dell’azienda agricola ereditata. Si rifugia con la madre a Capo d’Orlando, dove poi Licy li raggiungerà per sfuggire i pericoli della guerra che avanza in tutta Europa. Dopo la morte della madre, avvenuta nel 1946, Tomasi torna con la moglie a Palermo.
Appartenente ad una famiglia dell’alta aristocrazia siciliana, Giuseppe Tomasi aveva vissuto l’infanzia e l’adolescenza negli ultimi bagliori della Belle Époque ed aveva attraversato i decenni della catastrofe giungendo al secondo dopoguerra profondamente segnato dall’esperienza della perdita, esperienza che caratterizza la sua vita non solo per ragioni epocali, ma anche per ragioni intime e familiari, e che trova il suo suggello finale nella distruzione della sua amatissima casa nel corso del bombardamento del 1943.
Dopo la guerra, comunque la vita ricomincia. La nuova Italia repubblicana e democratica si avvia verso il futuro fiduciosa nelle sue sorti progressive e sente ormai vicina la possibilità di risolvere problemi atavici di povertà, ingiustizia e marginalizzazione.
Nel 1953 inizia a frequentare un gruppo di giovani intellettuali, dei quali fanno parte Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Tomasi. Con quest’ultimo instaura un rapporto affettivo tanto da adottarlo qualche anno dopo.
Tomasi di Lampedusa è spesso ospite presso il cugino Lucio Piccolo: con lui nel 1954 si reca a San Pellegrino Terme per assistere ad un convegno letterario in cui Piccolo era invitato. Qui conosce Eugenio Montale e Maria Bellonci. Pare che sia stato al ritorno da quel viaggio che Tomasi di Lampedusa abbia iniziato a scrivere il suo unico e famoso romanzo: “Il Gattopardo“. Termina l’opera due anni dopo, nel 1956: all’inizio il romanzo non sarebbe stato preso in considerazione dalle varie case editrici a cui sarebbe stato presentato. Il rifiuto di queste avrebbero riempito Tomasi di profonda amarezza.
Gli viene diagnosticato un tumore ai polmoni nel 1957: morirà il 23 luglio. Il suo romanzo viene pubblicato postumo nel 1958, dopo che Elena Croce avrebbe inviato il romanzo a Giorgio Bassani. Quest’ultimo lo fa pubblicare presso la casa editrice Feltrinelli, rimediando all’impressionante errore di giudizio di Elio Vittorini che, per conto della editrice Einaudi, non s’era a suo tempo accorto di aver avuto tra le mani un assoluto capolavoro della letteratura italiana (nel 1959 il romanzo vince il Premio Strega). Curiosamente, come il suo antenato protagonista de “Il Gattopardo“, Giuseppe Tomasi di Lampedusa muore in una modesta camera d’albergo a Roma, lontano da casa, in un viaggio intrapreso per cure mediche.
Con il Gattopardo, Giuseppe Tomasi torna al quel fatidico 1860 in cui tutto era cominciato, per seguire la genesi del nuovo stato e cogliere quel momento unico in cui dal vecchio si genera il nuovo. Un momento critico in cui storia e intimità si intersecano e quasi si fondono nell’animo e nella mente del Principe di Salina, ed è proprio attraverso lo sguardo del Principe che Giuseppe Tomasi ci fa partecipi di quella svolta epocale per la Sicilia.
È un mutamento politico che si accompagna con, e accelera, un profondo mutamento sociale: il declino dell’aristocrazia feudale. Declino politico e economico questo, che si trasforma nel Gattopardo in un’esperienza intima, continuamente vissuta dal Principe, quasi un retrogusto amaro e costante della sua vita.
Il successo mondiale del Gattopardo dipende evidentemente dal suo valore universale. L’enigmatica frase di Tancredi «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» esprime una fisiologia della storia, la cui verità è riconosciuta in tutto il mondo, ma per la Sicilia e per Palermo in particolare c’è qualcosa di più e di più profondo nel rapporto con il Gattopardo, c’è una sorta di intimità genetica.