ENRICO IMPALÀ, ‘IL POETA E LO SCIENZIATO’ (TS EDIZIONI, PP. 272, EURO 16,90) Enrico Impalà, scrittore, giornalista, teologo spirituale, in questo saggio di piacevole lettura, in libreria l’1 settembre edito da Ts, parla del celebre incontro tra Einstein e Tagore, avvenuto in Germania nel 1930. Einstein all’epoca viveva in un’amena villetta di legno rosso e infissi bianchi, un buen retiro nella frazione di Caputh, sul lago di Templin, poco distante da Berlino. Si era ritagliato, fuori dal caos cittadino, un angolo di paradiso: amava andare in barca a vela e ricevere ospiti come i fratelli Mann, Heinrich e Thomas, nonché gli illustri scienziati Max Planck e Max Theodor Felix von Laue.
Un giorno, il 14 luglio, andò a fargli visita il poeta, drammaturgo, pittore, musicista, filosofo, premio Nobel della letteratura, Rabindranath Tagore, discendente da una famiglia di bramini, la casta sacerdotale induista. Tagore arrivò accompagnato da Bruno Mendel, medico amico di Einstein.
Avvicinarsi a Tagore, in quel tempo, “era come entrare in contatto con l’altra metà del mondo; era avere la possibilità di attingere a piene mani a sapienze millenarie ricche di tesori preziosi. E Albert ne sentiva il bisogno”, scrive Impalà che sottolinea l’importanza di quell’evento: “Incontro epocale, fu titolato da più parti: l’incontro tra l’Occidente e l’Oriente, si disse”. Il dialogo di quel cruciale meeting fu registrato e pubblicato per la prima volta nel 1931 nella rivista Modern Review ed è riportato integralmente nel libro.
Tagore e Einstein, distanti e convergenti: durante quel loro appuntamento, “il poeta austero ed Einstein gioviale”, comunicarono in inglese, discutendo di verità e conoscenza.
L’uno concentrato sulla scienza, l’altro sulla spiritualità.
Eppure concordavano su molte cose. Per entrambi la musica era realizzazione dell’armonia, espressione di ciò che nessuna parola potrebbe mai esprimere; rivelazione del compimento nell’incompiuto, forma più pura dell’arte.
Condividevano lo stesso pensiero sull’educazione e sull’insegnamento, ritenevano che lo studio non dovesse essere un dovere bensì un’occasione per migliorare se stessi, il futuro, la comunità. Intendevano la scuola come espressione di bellezza e libertà e non come un luogo di noia e frustrazione.
Albert e Rabindranath, conclude Impalà, erano affini perché somigliavano a due bambini incantati dalla vita come pochi altri al mondo. Due menti geniali che amavano percorrere le strade della creatività.