(dell’inviata Mauretta Capuano) Abdulrazak Gurnah, Premio Nobel per la Letteratura 2021, racconta l’esperienza dell’immigrazione e ci mostra quanto sia importante capire il nostro passato e chi siamo nel romanzo ‘L’ultimo dono’ (La Nave di Teso) che ha portato al Salone del Libro di Torino dove è stato tra i grandi protagonisti, il 12 maggio, alla viglia della chiusura della manifestazione con boom di visitatori. “Dobbiamo trovare il modo di rendere più umano questo fenomeno, questi movimenti di immigrazione. Sentiamo le storie di queste persone che dall’Afghanistan, dalla Siria o da altri posti dove la loro vita è a rischio partono con i bambini, con tutti i loro averi sulle spalle, arrivano ai confini dell’Europa e vengono rimandati indietro. Dopo migliaia di chilometri vengono picchiati, maltrattati, questo non è umano” dice all’ANSA Gurnah che si muove con un’eleganza innata. “L’immigrazione è uno dei più grandi fenomeni dei nostri tempi. Il problema è come le società di arrivo percepiscono le persone che migrano. Adesso in quasi tutti i paesi c’è una concezione che assimila questo a un fenomeno criminale. Se non c’è la possibilità di migrare legalmente o in maniera assistita, controllata, si troverà sempre qualcuno che in maniera molto più rischiosa aiuterà comunque queste persone. Questo fenomeno continuerà e non c’è nessuna chiacchiera, nessun discorso, nessuna teorizzazione che potrà impedirlo e fermarlo” spiega Gurnah che è nato a Zanzibar nel 1948 ma si è trasferito da giovane in Inghilterra.
Che cosa intendiamo quando usiamo la parola appartenenza? “Ci sono molti modi di appartenere. Il primo è relativo a dove uno nasce, alla propria famiglia, ma sappiamo che si ci sono molte persone nella storia che hanno deciso invece di rifiutare la loro appartenenza e di sceglierne una nuova. Molti scrittori lo hanno fatto, T.S. Elliot, Joseph Conrad. La questione veramente interessante è la scelta” sottolinea lo scrittore. Cosa spinge queste persone a compiere questa scelta? “Nel caso di questi scrittori si tratta della scelta di una appartenenza culturale.
In altri casi può capitare che i genitori muoiano molti giovani e ci sia la necessità di crearsi una nuova storia, ma per milioni di persone non è una scelta libera abbandonare il proprio posto di nascita e la propria famiglia. Che cosa vuol dire appartenere quando uno deve lasciare il proprio posto perché è a rischio o c’è miseria? Questa è l’esperienza più comune. Ci si trasferisce altrove dove la vita è più sicura, si spera, o si possono avere vite migliori”.
La parola fondamentale dice Gurnah, “è la ricerca di tranquillità, di serenità che una persona raggiunge quando sente di appartenere a entrambi i mondi e trova un equilibrio tra queste due appartenenze, quella di provenienza e quella del luogo in cui è andato”.
Questa possibilità nei romanzi dello scrittore è molto importante. Ne ‘L’ultimo dono’ vediamo Abbas, che da giovane ha fatto il marinaio, è originario di Zanzibar ma vive in Inghilterra, avere paura quando viene colpito, a 63 anni, da un ictus, di non poter confessare un segreto che si porta dentro. I suoi figli, nati in Inghilterra, hanno un senso di estraneità verso il luogo in cui vivono. “Direi che più di perdono e segreto è giusto parlare di riconciliazione delle differenze in questo libro. I segreti sono tutti intorno a noi. Ci sono segreti storici, in Italia il colonialismo è circondato dal segreto. In Germania ci sono segreti nazionali legati all’olocausto, all’imperialismo, ma accanto a questi segreti che vengono tenuti molto sotto tono perché ogni nazione vuole pensare a se stessa come buona, dignitosa e grande, ci sono quelli personali, dei nostri nonni. Sono tutti intorno a noi e fanno parte della nostra vita” afferma Gurnah.
Abbas è molte figure insieme? “Lui è un personaggio che cambia, da adulto, da ragazzo, da vecchio” dice il Premio Nobel che vive a Canterbury.