– ROMA, 30 GIU – L’amarone della Valpolicella, la cipolla di Tropea, il pomodoro pugliese e, infine, il kiwi del basso Lazio: sono alcune delle eccellenze agricole che arricchiscono i produttori e lustrano il pedigree del cibo made in Italy. Sono lontani anni luce i tempi grami del dopoguerra, quando la fame era tornata protagonista: oggi mangiare è diventato anche uno status symbol e proliferano chef, marchi, il marketing conia sempre nuovi slogan. Anzi, se un problema si pone è quello della sovrapproduzione, dello spreco, ma questa è un’altra storia. Quei prodotti che luccicano nelle vetrine di alimentari che sembrano gioiellerie o su banchi nobili di catene multinazionali hanno una storia: qualcuno li ha seminati, coltivati, curati, protetti, raccolti e alla fine confezionati per la vendita al dettaglio. Insomma, fanno parte di una filiera, cioè di un’organizzazione complessa e articolata che impiega circa un milione e mezzo di lavoratori, se contiamo anche i cosiddetti “invisibili”. C’è un mondo alle spalle di quei prodotti: fatto di sudore, fatica e molto spesso sfruttamento e non riguarda soltanto gli immigrati, ma sempre più spesso anche gli italiani.
A raccontarlo è il nuovo podcast dal titolo “Sulle spalle degli altri”, realizzato Susanna Bucci e Paolo Butturini e prodotto da Akùo, iniziativa di OverPress Media, in collaborazione con Flai-Cgil. “Sulle spalle degli altri”, letto da Annabella Calabrese e disponibile sulle principali piattaforme dal 23 giugno, è un viaggio, attraverso il racconto e le voci dei protagonisti, nei territori in cui si coltivano e si confezionano quei cibi aristocratici. Scoprirete così che esistono ancora forme di “caporalato” anche nel ricco Nord-Est, che nella Capitanata le donne lavoratrici sono quasi tutte italiane, che i sikh si sono stancati di prendere botte ed essere sfruttati, che in Calabria è pericoloso anche soltanto parlare con i lavoratori. E tanto altro. Ma vedrete anche che ogni giorno ci sono donne e uomini della Flai-Cgil che provano a contrastare questo sfruttamento, a far crescere la coscienza anche dei lavoratori immigrati. La loro fatica è più lieve di quella di chi sta chino sui campi, ma è preziosa per ridare a queste persone prima di tutto la dignità. .