
ANDREA FERRAZZI, IL FUTURO AD ALTA QUOTA (RUBETTINO EDITORE, PP 216, EURO 15). Laboratori di futuro, capaci di attrarre giovani, talenti, imprese e nuove idee. È l’immagine delle montagne, delle aree interne e delle periferie che troviamo nel libro di Andrea Ferrazzi ‘Il futuro ad alta quota’, in uscita a inizio gennaio per Rubettino Editore. Lo sguardo di Ferrazzi, direttore di Confindustria Veneto Dolomiti, non è ripiegato sul passato e ribalta molti luoghi comuni puntando alla fiducia piuttosto che alla nostalgia. Le montagne diventano così luoghi di scelte e di destini possibili e le periferie non vengono descritte come territori condannati al declino.
L’Italia non è divisa solo tra Nord e Sud, città e provincia, pianura e montagna. È divisa tra territori che coltivano fiducia e territori che si aggrappano alla nostalgia, racconta l’autore.
Una linea invisibile, ma più determinante di molte infrastrutture.
Intrecciando dati, analisi e storie, Ferrazzi mostra che il destino dei territori non è scritto. È una questione di fiducia collettiva, di energia sociale, di apertura al nuovo.
“Dove vince la nostalgia, il futuro non arriva. Dove cresce la fiducia, il futuro si costruisce” afferma l’autore. Il libro diventa così un invito ad amministratori, imprese e comunità a non rassegnarsi e a considerare le aree interne non più come margini, ma come avanguardie dello sviluppo italiano.
Da anni impegnato a favore dello sviluppo delle Terre Alte, Ferrazzi mostra come questa frattura spieghi più della geografia e più della demografia. Nel libro racconta il paradosso dei territori che soffrono il declino, ma temono il cambiamento più del declino stesso e mostra invece come la montagna possa essere spazio di reinvenzione, non un museo degli sconfitti.
Da un lato ci sono i numeri sullo spopolamento, sulle aree interne, sulle traiettorie di lungo periodo. Dall’altro, un racconto che ribalta il cliché del “bel posto per le vacanze, pessimo per viverci”. Il vero motore del divario, suggerisce l’autore, non è l’altitudine, ma l’attitudine. Non il dove, ma il come.
È qui che la formula “territori della fiducia” trova potenza interpretativa. Perché rimette al centro le comunità e la loro capacità di generare energia sociale.
Ferrazzi, unendo esperienza personale e letteratura accademica, non indulge nel romanticismo alpino. Semmai, lo smonta. E lo fa con una scrittura pulita, che evita il folclore e affronta le contraddizioni. La tesi centrale è chiara: la montagna italiana ha ancora una chance, ma solo se sceglie la fiducia come infrastruttura culturale. Un investimento meno visibile di una strada o di un ospedale, ma forse più decisivo. Nel libro ricorda anche che il futuro non accade. Si costruisce anche e soprattutto in quota.