Sono trascorsi 60 anni dal disastro del Vajont, ma quella immane tragedia rimane impressa nella memoria di tutti come una strage che si poteva evitare. Le profezie nefaste rimaste inascoltate, gli allarmi dei geologi che avvertivano che i fianchi della montagna, in mezzo a cui si staglia la gigantesca diga, non avrebbero retto, non sono servite ad evitare la morte di oltre 2 mila persone travolte dall’enorme onda generata dalla roccia venuta giù dal Monte Toc e caduta nel bacino idroelettrico che chiude il passaggio del torrente Vajont. È il 9 ottobre 1963. Nei piccoli paesi ai piedi della diga la gente è in casa, l’autunno è alle porte e la sera comincia già a fare freddo. Alle 22 dalla montagna si stacca una quantità di roccia il cui volume è quasi doppio rispetto a quello dell’acqua contenuta nell’invaso e che cade nel bacino ad una velocità di 110 chilometri orari. L’onda che si crea è alta 250 metri e si abbatterà sui paesi e le frazioni sottostanti della valle del Piave, cancellando il paese di Longarone e i comuni limitrofi. Per raccontare di chi si è salvato e di chi è stato travolto dall’acqua Piero Ruzzante, storico e per due volte parlamentare, è tornato in quei luoghi a caccia della memoria ancora sepolta tra le macerie. Ha parlato con i superstiti, analizzato le carte processuali, raccolto documenti rimasti nascosti negli archivi, indagato la verità giudiziaria e civile, per costruire “L’acqua non ha memoria. Storia salvata del disastro del Vajont” ,una commovente Spoon River di testimonianze. Ad aiutarlo nelle ricerche per il libro, che esce il 19 settembre per le edizioni Utet, il giornalista Antonio Martini. Dalle pagine del volume, che sarà presentato in anteprima a a ‘Pordenonelegge’ domenica 17 settembre, riemergono le vicende personali e collettive della tragedia: la storia del carabiniere che si salvò grazie alla chiamata in servizio nel cuore della notte ma che vide la sua famiglia spazzata via, quelle degli operai, delle centraliniste, delle cuoche impegnate alla diga, degli ingegneri che analizzarono la fattibilità del progetto e se ne assunsero la responsabilità, di Tina Merlin e di quanti hanno caparbiamente ricercato la verità, degli avvocati che hanno difeso l’Enel-Sade e dei legali di parte civile, fino alle storie degli sfollati che sotto le macerie di uno dei più grandi disastri nella storia d’Italia hanno perso tutto. Oggi che l’allarme ambientale ci tocca da vicino la tragedia del Vajont resta come un monito ineluttabile: dobbiamo cominciare ad ascoltare e rispettare la terra che ci ospita, le conseguenze altrimenti saranno catastrofiche.