(di Franco Nicastro) – PALERMO, 01 LUG – SALVATORE LUPO, IL MITO DEL GRANDE COMPLOTTO (DONZELLI EDITORE, 102 PAGINE, 16 EURO) All’alba del 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia.
Husky fu la più poderosa operazione militare della seconda guerra mondiale che cambiò il corso della storia. E per il fascismo fu l’inizio della fine. La scelta della Sicilia fu indotta dal sostegno della mafia? Da tempo circola tra osservatori e analisti la tesi, che molti storici considerano solo una leggenda, di una trattativa tra l’intelligence americana e i più influenti personaggi di Cosa Nostra tra cui Lucky Luciano. Salvatore Lupo è lo studioso che sulla trattativa ha espresso le valutazioni più critiche. E ora le ripropone in un libro, edito da Donzelli, che già nel titolo non lascia spazio ad altre interpretazioni: “Il mito del grande complotto”.
All’origine del mito ci sarebbe la narrazione su un aiuto della mafia che ne ha fatto per primo Michele Pantaleone nel libro “Mafia e politica” pubblicato nel 1962 con la prefazione di Carlo Levi. Quel libro, riconosce Lupo, ha il merito di avere sollevato il grande tema dei rapporti tra mafia e politica. Ma sullo sbarco diffonde una tesi, pure ripresa dalla commissione Kefauver e dalla prima commissione antimafia, che non è basata su ricerche appropriate ed è anzi smentita dalla grande mole di documenti consultabili e consultati dagli storici a partire dagli anni Settanta. Ne viene fuori un quadro che Lupo, come aveva fatto già in altri saggi sulla mafia, sottopone a un diverso “riposizionamento interpretativo”. Dice in sostanza che i servizi segreti americani cercarono Luciano, in carcere con una dura condanna, per assicurare una protezione della malavita al porto di New York quando gli Stati Uniti non erano ancora in guerra, ma temevano atti di sabotaggio in favore dei tedeschi. E quella era, secondo Lupo, un’iniziativa di polizia interna perché le operazioni militari non erano ancora all’ordine del giorno.
I contatti tra gli Alleati e la mafia furono successivi allo sbarco. La mafia non era stata messa completamente fuori gioco dal fascismo e dall’operazione Mori, come rivelava perfino un rapporto di polizia del 1938. E dunque non sarebbe stata “ricostituita” dagli americani, grati per una collaborazione negli eventi bellici che non c’era stata. “Il mito – scrive Lupo – ha travestito da complotto quello che fu un assai più composito rivolgimento storico”. E quindi non si può andare dietro alla storia dei foulard con la lettera L di Luciano lanciati per svelare l’appoggio mafioso così come è poco credibile la tesi della diretta partecipazione di don Calò Vizzini (celebrato capo della mafia) alla gestione delle operazioni militari. Queste teorie sembravano già inverosimili al giornalista Felice Chilanti, autore di celebri inchieste sulla mafia per il giornale L’Ora.
Gli Alleati però poterono cogliere la forza e l’influenza di Cosa Nostra nella fase della ricostruzione del tessuto politico e civile della Sicilia, quando furono nominati sindaci compromessi o discussi. Ma alcuni furono rimossi e altri invece, come Lucio Tasca, accrebbero la loro influenza nella formazione di un movimento politico passato attraverso il separatismo e poi approdato nella Dc.
Nelle vicende spesso intricate successive allo sbarco Lupo rintraccia poi le ambiguità e le tolleranze che consentirono a mafiosi e camorristi, come lo stesso Luciano, intanto scarcerato e spedito in Italia, e Vito Genovese, di gestire affari, traffici e intrallazzi. .