Oggi, 23 maggio 2022, è la Giornata nazionale della Legalità, giornata simbolo del ricordo delle vittime della mafia. Tra i tanti innocenti che persero la vita per via della criminalità organizzata ricordiamo due magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Falcone perse la vita in quella che è ricordata come la “Strage di Capaci” e, a pochi giorni di distanza, morì Borsellino nella “Strage di Via D’Amelio”.
Giovanni Falcone nacque il 18 maggio 1939 a Palermo in via Castrofilippo, nel quartiere della Kalsa – lo stesso di Paolo Borsellino – in una famiglia benestante: il padre, Arturo Falcone, era il direttore di un laboratorio chimico di igiene e profilassi del comune di Palermo, e la madre, Luisa, era figlia di un noto ginecologo della città. Era il terzo di tre figli: Anna, la maggiore, e Maria, la secondogenita. Entra nella magistratura attraverso un concorso nel 1964 e l’anno successivo, nel 1965, diventa pretore a Lentini.
Nel 1973 si trasferì alla sezione civile del tribunale di Trapani. Nel luglio 1978 ritornò, successivamente, a Palermo. In quell’anno la Bonnici lasciò Falcone per restare a Trapani. Nel tribunale palermitano cominciò a lavorare nella sezione fallimentare, occupandosi di diritto civile ed emettendo alcune sentenze di grande importanza. L’anno successivo conobbe la collega Francesca Morvillo, con la quale iniziò una relazione sentimentale che sfociò nel matrimonio nel 1986.
Nel 1979 Falcone passa dal diritto fallimentare a quello penale, chiamato – insieme a Borsellino – all’Ufficio istruzione del tribunale di Palermo da Rocco Chinnici, un altro magistrato che morirà per aver combattuto la mafia.
Nel 1989 Falcone sopravvive a un fallito attentato che avrebbe dovuto ucciderlo mentre si trovava nella villa affittata per l’estate in località Addaura, nei dintorni di Palermo. Il giudice parlò di “menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia”, ipotizzando l’esistenza di “punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi”.
Intanto circolano lettere anonime che accusano Falcone e altri giudici di aver influenzato il pentito Totuccio Contorno, uno dei collaboratori di giustizia nel maxiprocesso di qualche anno prima, per spingerlo a uccidere il clan di Corleone. Il Csm nomina nella stessa estate Falcone procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo. I due anni alla procura palermitana sono segnati da continui attacchi alla credibilità di Falcone: è la ‘stagione dei veleni’. Voce molto critica è quella del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che accusa il giudice di nascondere “le prove nei cassetti”.
Si arriva al 1992, con Falcone sempre più isolato da varie correnti politiche e giudiziarie. “Mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano”, avrebbe detto Falcone pochi giorni prima di quel 23 maggio, come riportava il giorno dopo l’attentato il Corriere della Sera. Solo una volta morto, Falcone sarà riconosciuto da tutti come eroe nazionale e simbolo della lotta alla mafia.
Il 23 maggio 1992, alle 17:58, un’esplosione squarcia l’autostrada A29 che collega l’aeroporto di Punta Raisi con la città di Palermo. Il tritolo nascosto in un tunnel a pochi metri di distanza dallo svincolo di Capaci uccide il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. A ucciderli è la mafia di Cosa Nostra, il male che Falcone aveva combattuto tutta la vita.