(di Francesco De Filippo) FIORENTINO FRANCESCO, BALZAC (Editori Laterza, 290 pagg.; 20 euro) “Nessuno può avere la pretesa di fare una biografia completa di Balzac”. Citare questo pensiero di Théophile Gautier alla prima pagina della Premessa di una biografia di Balzac può sembrare una scelta tafazziana.
Invece Francesco Fiorentino, autore della biografia in questione, studioso dell’autore da quasi 50 anni, non teme di incorrere in critiche né in autocensure.
“In Italia non ci sono biografie di questo tipo, che è diversa da quelle tradizionali – esordisce Fiorentino, professore emerito di Letteratura francese all’Università di Bari e autore di numerosi saggi -. Queste ultime raccontano i fatti, io cerco invece di mettere insieme i fatti con gli scritti, senza i quali non si può parlare di cose di cui vale la pena”.
E tra i fatti e gli scritti emerge “lo scrittore della modernità”: Balzac, nato nel 1799 a Tours, rappresenta la modernità sia sociale che letteraria. Fiorentino scava nella sua intimità, individua e svela in lui molti tratti degli eroi dei suoi romanzi. Figlio di un uomo di talento che aveva scelto una strada diversa da quella provinciale legata alla terra della famiglia, Honoré, come suo padre, aveva cambiato il nome plebeo di Balssa in quello nobile di Balzac così da indurre in equivoco con i Balzac d’Entragues o i Balzac de Firmy. Perché Honoré aveva due profonde ragioni per un innato bisogno di sentirsi accolto e accolto nell’aristocrazia. Il padre, Bernard-Francois, a 51 anni sposò Anne-Charlotte-Laure Sallambier, di 19. La coppia ebbe un figlio, che morì 32 giorni dopo la nascita, con conseguenze psicologiche per la madre. Quando nacque il secondogenito, Honoré, lo stesso giorno del primo, Laure non lo accettò. E per i primi 4 anni visse altrove, senza mai vedere la madre. Scriverà da adulto: “Mi odiava prima che fossi nato”. Una ferita inguaribile. Corollario di questo bisogno fu aspirare a ottenere che duchi e duchesse lo riconoscessero come uno di loro. Perciò non cercò l’arte in se stessa ma, ne fece un mezzo, un vettore attraverso il quale ottenere gloria, lusso, successo.
Fu per questo che lavorò tutta la vita sedici ore al giorno.
Normale dunque anche “una vita sentimentale terribile, difficili rapporti con le donne. Ne ha avuto molte, ma è sempre stato fedele alla prima: lui 21 anni e lei 50, e 50 all’epoca erano tanti, ma era una donna straordinaria, con una grande forza sensuale”. Ha avuto sempre “un debole per le duchesse, ma non contraccambiato: lo trattavano come un volgare. Non apprezzavano nemmeno completamente i suoi discorsi”.
E la letteratura? “Sempre all’opposizione: fu uno scrittore lucidamente straordinario”. Ad esempio nelle “Illusioni perdute” fa “una rappresentazione modernissima, spregiudicata, crudele di cos’è la stampa. E i giornalisti gli risposero con un ostracismo terribile”. Idolatrato da Baudelaire, fu considerato un campione del realismo ma anche un visionario. Un interprete del mondo moderno: “Più di altri capì il rapporto col danaro, col potere, i rapporti tra i sessi, tra le classi di età, è un po’ come se descrivesse il nostro mondo quando questo è nato. E ciò gli dà una forza straordinaria”.