Il Premio Italo Calvino annuncia i finalisti della 36ª edizione, selezionati dal Comitato di lettura tra gli 808 manoscritti partecipanti al concorso e successivamente valutati dalla Giuria composta da Carla Benedetti, Giorgio Fontana, Giovanni Greco, Andrea Moro e Nicoletta Vallorani.
I nove testi inediti di autori e autrici esordienti, tra cui i giurati sceglieranno il vincitore e le menzioni speciali, sono: “O’Cane” di Luigia Bencivenga, “Gli incarnati” di Alessio Caliandro, “Pietà” di Antonio Galetta, “Il vestito più leggero” di Marina Guglielmi, “White people rape dogs” di Jacopo Iannuzzi, “Internetà” di Alberto Liverani, “Giallo buio” di Licia Martella, “Nataroccia” di Silvana Miano e “La malinconia dei coralli” di Giuseppe Quaranta.
La cerimonia di premiazione si terrà il martedì 6 giugno, a partire dalle ore 17, presso il Circolo dei lettori di Torino, alla presenza dei finalisti, dei giurati e del direttivo del Premio (sarà possibile seguire la cerimonia in diretta streaming sul profilo Facebook e sul canale YouTube del premio).
A partire dal mercoledì 31 maggio, sul sito premiocalvino.it, saranno disponibili due video di presentazione al giorno dei testi finalisti, contenenti la voce dell’autore, la lettura di un brano e una breve analisi critica.
“La scelta finale non è stata facile – spiega in una nota il presidente Mario Marchetti – perché i testi meritevoli per la lingua, l’argomento, la costruzione narrativa erano davvero tanti, e non tutti sono potuti rientrare nella selezione destinata alla Giuria. Si è cercato, nella misura del possibile, di dare rappresentanza a temi e stili diversi e di cogliere tendenze in atto rispondenti al sentire dei nostri tempi, evitando di selezionare testi che fossero troppo mimetici di una presunta realtà così come testi programmaticamente consolatori o commerciali, pur se ben confezionati. La forma narrativa delle opere finaliste è varia, non sempre riconducibile alla forma romanzo strettamente intesa, e trovare un filo tematico comune non è agevole. Vale però la pena rilevare alcuni tratti generali che connotano i testi concorrenti. In primo luogo la grande passione con cui, soprattutto da parte di autrici, si dà voce al mondo del sud, sia nel suo recente passato che nella sua attualità sempre in bilico tra consuetudine e modernità. Pare un’esigenza molto sentita da quella che potremmo considerare la terza generazione, che ha ormai studiato e si è spostata altrove. Le angolature sono diverse, ma si sente con forza il legame col prima, con la famiglia, si cercano nel passato indizi per l’oggi, forse proprio perché si percepisce di tale legame la precarietà, il rischio che possa essere rapidamente reciso. E in particolare si mira a ripercorrere o a ricostruire una genealogia femminile. Un forte interesse, poi, per il corpo, per la sua materialità, per lo spazio e il riconoscimento che gli sono necessari (nelle donne), o perché esso stesso tende a diventare cervello e a dominare i comportamenti (negli uomini). E ancora per la natura ambigua della memoria che abbraccia presente e passato in un permanente processo osmotico, che tocca in particolare l’invecchiamento producendo malinconia. Permane il fuoco sul senso di isolamento dei singoli e sui rapporti intrafamigliari nucleari che, come già osservato in altre edizioni, hanno acquistato un’inedita centralità in un’epoca che ha accantonato dimensioni più sociali e collettive. Qualche sguardo, perlopiù fortemente intinto di nero, viene comunque anche rivolto al politico. Il futuro è ovviamente poco evocato, non lo si intravede se non come degrado o distopia. Quest’anno, in compenso, abbiamo colto un interesse per il passato quasi che, non palesandosi punti di fuga all’orizzonte, li si cercassero all’indietro”.
O’Cane, metafora senza folclore del degrado campano, è ambientato a Ilias, uno spazio-tempo d’invenzione. Sotto i nostri occhi si quaderna, con imperturbabile postura della voce autoriale, un eteroclito campionario di atrocità e perversioni che finisce col suggerire il destino di comune miseria che affligge tutti gli esseri viventi: non a caso la narrazione, non priva di sobrie allusioni postmoderne, è scandita da una misteriosa strage di cani innocenti. La lingua, sintetica e allucinata, conferisce una peculiare valenza letteraria al testo.
L’incandescente Gli incarnati potrebbe definirsi un romanzo analitico, campo di azione di un Es sfrontato e incoercibile e delle sue gesta: un cervello tumorale si sviluppa in un testicolo del protagonista trasformandolo in una pura macchina desiderante. Dopo il superamento di una serie di prove si arriva a un happy ending estremo, ovvero alla liberazione dell’eroe da ogni ceppo sociale (matrimonio, lavoro) e da ogni inibizione sessuale imposti dal Sistema. Singolare è il linguaggio pornografico ondeggiante tra erotismo e misticismo.
Pietà mette in scena con distacco, nel filtro di una prosa ironica e sorprendente, gli intricati giochi di potere che si dispiegano in un piccolo centro del Sud Italia in vista delle imminenti elezioni comunali. Tra simbolismo e realismo, ricorrendo anche a mezzi narrativi postmoderni, l’autore anatomizza personaggi e forze in campo, giungendo all’amara conclusione dell’invincibile resilienza dello status quo. Un quadro miniaturizzato dell’Italia contemporanea in cui la voce narrante è un originale “noi” che accomuna gli interessi costituiti.
È la memoria a giocare un ruolo di primo piano ne Il vestito più leggero, un testo che si muove sommessamente in dodici stanze (reali e del ricordo) abitate in momenti diversi della propria vita dalla voce narrante a cui si torna nei dodici giorni ‒ dilatati dal meccanismo della reminiscenza ‒ trascorsi al capezzale della madre, giorni che ne precedono la morte per giungere fino al momento del distacco. Un memoir sul lutto che si distingue per l’efficace costruzione, per la sapiente leggerezza e per la capacità evocativa delle immagini.
White people rape dogs ci immerge nel presente di un gruppo di ventenni la cui sola spinta esistenziale è data dal consumo di droghe. Si muovono caoticamente come particelle impazzite, pronti a ogni esperienza marginale. Non hanno ideologie, puntano unicamente a sopravvivere con i loro riti quotidiani, attratti, ma senza vera passione, da tutto ciò che è contro. In apparenza una raccolta di racconti, in realtà un progetto fortemente coeso, contraddistinto da un sound febbricitante, in cui i diversi tasselli danno vita a un mosaico organico.
Il titolo Internetà allude a un incombente futuro in cui a dominare è Internet con il suo corteo di social. Nelle dense pagine del testo incontriamo otto racconti che si svolgono sul filo conduttore di una vera e propria fusione tra umano e digitale. Chiude l’opera un saggio in stile pseudo-accademico elaborato qualche secolo dopo, a internet ormai estinta. Gli analisti del futuro, per capire, avranno a disposizione solo brevi stralci sopravvissuti delle narrazioni precedenti. Un’idea insolita, una lingua contaminata dal gergo anglicizzante della rete.
Giallo buio ci immette in un ambiente borghese di professionisti à la page: un romanzo sottile e inusuale sul legame di coppia, sui vuoti su cui spesso si fonda, finché un evento imprevedibile scardina il costrutto che sembrava perfetto. Alla morte improvvisa del marito Angela scopre che era affetto da un male incurabile e a poco a poco prende atto di tutta una serie di sue omissioni e menzogne. Perché, si domanda? L’incontro con un’altra donna le permetterà di fare luce, soprattutto su se stessa. Una straordinaria costellazione a tre, postuma.
Al centro di Nataroccia, ambientato in Sicilia, vi sono due temi strettamente embricati: il corpo e la sua accettazione sotto la morsa omologante del giudizio sociale e il grande amore di una figlia per il padre. Fulvia è bulimica e presumibilmente obesa, suo padre è un macellaio melomane, che sul sottofondo di Verdi e Mascagni la abitua affettuosamente a trafficare con le carcasse e ad accettare la materialità della carne: il body shaming, per lui, non esiste. La lingua, dalle misurate contaminazioni regionali, è asciutta e urticante.
La malinconia dei coralli tesse attorno al morbo immaginario di Ræbenson ‒ che renderebbe incapaci di morire di morte naturale coloro che ne sono colpiti, prolungandone indefinitamente la vita ‒ una tela narrativa ricca e complessa, muovendosi tra bibliografie accademiche, fotografie, episodi clinici, stimoli filosofici, citazioni erudite in equilibrio precario tra verità e finzione: una sorta di coinvolgente detective story psichiatrica. Sul tappeto le pregnanti questioni dell’invecchiamento e della definibilità stessa della malattia mentale.
Il Premio Italo Calvino è stato fondato a Torino nel 1985, poco dopo la morte di Italo Calvino, su iniziativa di un gruppo di estimatori e amici dello scrittore. Tra i promotori del premio figurano Norberto Bobbio, Cesare Cases, Anna Chiarloni, Natalia Ginzburg, Massimo Mila, Lalla Romano e Cesare Segre. Italo Calvino, famoso per il suo lavoro editoriale per l’Einaudi, ha svolto un ruolo importante come scopritore di nuovi talenti. Pertanto, l’idea del premio era quella di rivolgersi agli scrittori esordienti e inediti che spesso faticano a trovare un contatto con il pubblico e con le case editrici.
Il Premio Italo Calvino ha seguito gli stessi criteri che hanno guidato Calvino nella sua carriera letteraria: attenzione ed equilibrio, gusto per la scoperta e una funzione critica. Delia Frigessi, studiosa della cultura italiana tra l’Ottocento e il Novecento, è stata l’ideatrice, animatrice e presidente del premio fino al 2010. Attualmente, il presidente è Mario Marchetti.