(di Daniela Giammusso) – ROMA, 20 GIU – “Donna. Nella specie umana, l’individuo di sesso femminile, soprattutto dal momento in cui abbia raggiunto la maturità anatomica e quindi l’età adulta. Una giovane d., una d. anziana; non è ancora una d. (non ha ancora raggiunto la pubertà) (…)”. Così il dizionario Treccani, il primo per autorevolezza e faro della conoscenza in Italia, definisce la donna. Ma ci sono poi, banalmente, documenti ufficiali e moduli dell’anagrafe dove, ad esempio, anche chi si chiama Maria sarà “nato a…”. E poi i diritti dell’umanità, che continuano a essere i diritti dell’uomo (e non della donna) o quell’uso per cui, anche dopo anni di studio e lavoro, un’ambasciatrice nell’immaginario collettivo sarà subito la moglie dell’ambasciatore (e non la titolare).
Se è vero che la lingua sostanzia e sintetizza il nostro pensiero, la prima discriminazione di genere in Italia la compiamo, più o meno consapevolmente, parlando. È il tema al centro del convegno Donna: animale, femmina dell’uomo. La definizione del sostantivo nei dizionari, la necessità del cambiamento, organizzato dall’Associazione Femminile Maschile Neutro. “Non è una questione di politically correct – rileva la senatrice Liliana Segre, nelle righe del suo messaggio a distanza – Non si tratta di sbianchettare qualche termine inopportuno sui testi ufficiali di qualche decennio fa. Ma una più generale questione di portata culturale, di un problema di civiltà”, “Chi possiede la lingua possiede il potere. La lingua e le parole formano il pensiero – concorda la presidente di FMN, Maria Tiziana Lemme – Essere negate dalle parole, vuol dire essere negate da tutto”. A leggere la definizione ufficiale di “donna” del dizionario Treccani, prosegue, “ci si limita all’aspetto procreativo. Una donna non possiede cervello né linguaggio, né capacità di pensare e di trasmettere informazioni, qualità invece ben specificate nella definizione di ‘uomo’”. Ma la donna, aggiunge, “non è citata neanche alla voce umanità e umano. I suoi sinonimi sono prostituta e donna di strada. La voce ‘ragazza’ non è definita, rimanda a ‘ragazzo’, e i suoi sinonimi sono insulti che spaziano da cagna a vacca e zoccola”.
Gli stessi che si ritrovano nelle denunce per femminicidio e violenza sulle donne. In Italia, per fortuna, come rileva l’indagine commissionata all’Istituto Demopolis, il tema comincia a fare breccia: il 43% degli intervistati è consapevole che sia importante superare gli stereotipi linguistici di genere, percentuale che sale al 56% fra le donne e scende al 30% fra gli uomini. Il 49% ritiene importante sostituire nei codici il sostantivo “uomo” (per alludere all’essere umano) con il termine “persona”, il 65% condivide la scelta di rendere neutre le formule sui documenti e sulla modulistica.
A questo proposito, la FMN ha già pronta una lettera aperta alla Treccani e una proposta di legge realizzata con la Rete per la Parità per “modificare provvedimenti giuridici e amministrativi e titoli funzionali per assicurare alle donne la piena cittadinanza ed eliminare dannosi stereotipi che ancora le rendono invisibili”.
L’abbattimento delle differenze di genere “è un tema cruciale per il Parlamento Europeo – assicura la vicepresidente Pina Picerno – La lingua italiana è bellissima, ma ha un’impronta patriarcale frutto di secoli in cui la donna era relegata a un ruolo marginale. Supporto la proposta di legge e penso anche che” non declinare al femminile certi termini “sia una negazione dell’emancipazione conquistata. L’esempio più lampante, la prima donna al governo italiano che si rifiuta di declinare al femminile la sua carica. Per me è un’offesa alla nostra lingua e a decenni di lotte per i diritti”. .