(di Elisabetta Stefanelli) CARLO ROVELLI, ‘SULL’UGUAGLIANZA DI TUTTE LE COSE. Lezioni americane’ (Adelphi, pag. 214, euro 15.00).
Leggere un libro di Carlo Rovelli è come salpare, non rimanere ancorati a schemi precostituiti, avventurarsi, per chi è aduso alla letteratura, in mondi limitrofi che pure mantengono il fascino del racconto assolutamente personale, convinto che non esista ”una conoscenza disincarnata”. Il fisico teorico (e filosofo), nei suoi libri, usa spesso la metafora del camminare sul bordo, così come fa lui non solo nel limite tra le discipline ma anche delle opinioni convinto che le certezze troppo radicate siano sinonimo di oscurantismo.
”È stato molto bello, soprattutto quando non eravamo d’accordo”, scrive Carlo Rovelli in questo nuovo saggio, ‘Sull’uguaglianza di tutte le cose. Lezioni americane’ (che avrà una solo presentazione il 22 ottobre a Milano al Teatro dal Verme alle 20.30), lanciando, come sua abitudine, temi complessi in modo apparentemente semplice. Questa volta: ”Queste pagine nascono da un invito al dipartimento di filosofia dell’Università di Princeton nel novembre e dicembre 2024”, quindi rivolte direttamente ad un pubblico. Del resto, già nell’introduzione Rovelli dà una definizione proprio del lettore a cui si rivolge, che in quale modo fa da specchio al suo universo concettuale: ”Qui mi rivolgo a lettori diversi. Ai miei lettori che non hanno conoscenze tecniche e sono curiosi di comprendere cosa comporti la scienza moderna per le domande filosofiche di sempre. Ma ancor più a filosofi e scienziati interessati alle implicazioni concettuali di gravità e quanti presi assieme”. Mettere insomma in dubbio, per raccontare un mondo che a suo avviso ”non è fatto di oggetti, non occupa uno spazio, non si svolge in un tempo e non è governato da cause ed effetti. È tessuto da relazioni, composto dall’intrecciarsi di prospettive, può essere descritto solo dal suo interno”. Del resto ciò che lo muove, confessa, è proprio ”questo continuo aggiustamento dei nostri concetti, che si devono adattare a quanto impariamo. Le nozioni con le quali pensiamo il mondo sono state plasmate dall’esperienza delle generazioni che ci hanno preceduto; nuove esperienze e nuove conoscenze le modificano”.
E critica la filosofia che si tiene alla lontana dalla scienza e prova a fare una riflessione sul rapporto tra le due forme di sapere.
Un libro complesso lo definisce l’autore, che come sempre i suoi, corre sul filo delle due discipline. E che riassume così: ”Le lezioni zigzagano fra noi e la natura. In questa prima lezione, dopo un breve indugio iniziale su qualche aspetto della fisica che si studia a scuola, mi tuffo nel cuore alieno dei quanti. La seconda ci riporta a noi parlando della conoscenza; di come chiudere il cerchio fra questa e il mondo. La terza è dedicata a spazio e tempo, e alla struttura concettuale necessaria per combinare i due grandi salti concettuali del XX secolo: i quanti e le scoperte di Einstein su spazio, tempo e gravità.
La quarta ci riporta a noi, per discutere la base fisica del fluire del tempo, e i fenomeni collegati a tale fluire, primo fra questi la nostra ovvia libertà di decidere il futuro. La quinta è dedicata a come possiamo pensare”. Infine ”Nella sesta cerco di tirare le fila di questo sapere ricchissimo, ma refrattario a certezze e fondamenti ultimi”. Insomma questa realtà circolare, in cui l’informazione è circolarità, il messaggio di Rovelli non può che avere una sua forte consistenza filosofica che, basata sulla fisica, si lancia in una indiscutibile prospettiva politica in un mondo dominato dalla ricerca di granitici confini.
”Ancorarci a un fondamento primo ostacola l’aspetto dinamico del sapere”, quindi non resta che salpare l’ancora in un mondo ”che non è fatto di cose che permangono”.