(di Clemente Angotti) ANTONIO RICCHIO, “COLPO ALLO STATO” (Falco editore, pag. 127, euro 10,00) Politici, giuristi, accademici ma anche studiosi e uomini di Chiesa. Ci sono molti dei protagonisti del dibattito, più che mai attuale, sull’autonomia differenziata, sui rischi del regionalismo asimmetrico e, più in generale, sulle riforme dell’assetto istituzionale e dei rapporti tra centro e periferie territoriali, in ‘Colpo allo Stato”, il saggio scritto dal giornalista della “Gazzetta del Sud” Antonio Ricchio, edito da Falco, che unisce l’immediatezza propria del racconto cronistico dei fatti alla precisione dei contenuti.
Da Franco Bassanini a Sabino Cassese, da Pierluigi Bersani a Gianclaudio Bressa. E ancora, Francesco Boccia, Graziano Delrio, Agazio Loiero, Roberto Occhiuto, Francesco Savino, Gianfranco Viesti, Francesco Clementi ed Ettore Jorio. L’autore ha interpellato alcuni dei principali protagonisti di una contesa che va avanti da anni e che ha acquistato ancora maggiore vigore e intensità politica dopo la recente pronuncia con la quale la Consulta ha ravvisato l’incostituzionalità di sette profili della legge Calderoli, affidandone la revisione al Parlamento.
In poco meno di 130 pagine, con prefazione di Antonio Viscomi, ordinario di Diritto del lavoro e direttore del Centro di ricerca “Digit Lab Law” dell’Università di Catanzaro, e post fazione di Silvio Gambino, docente emerito dell’ Università della Calabria, Ricchio ripercorre passo dopo passo più di mezzo secolo di storia politica del nostro Paese, partendo dagli albori del regionalismo agli inizi degli anni ’70 e passando per la riforma della sanità del 1978 e i suoi effetti sul regionalismo e per l’invadenza crescente della burocrazia dei nuovi enti sovraterritoriali, fino ai tumulti di “tangentopoli” ed alla modifica del sistema elettorale. Una cronistoria puntuale che dà conto dell’irrompere del fenomeno Lega, del nuovo sistema elettorale delle Regioni e delle riforme costituzionali segnate dalle bocciature referendarie. Il tutto conducendo il lettore a seguire gli eventi che hanno dapprima portato alla Riforma del Titolo V, in forza del quale viene introdotta una certa autonomia finanziaria e legislativa con nuovi poteri alle Regioni, che si vedono riconosciuta la facoltà di legiferare in via esclusiva su alcune materie e in concorrenza con lo Stato su altre, per approdare ai condizionamenti psicologici dovuti alla spinta verso il federalismo in salsa leghista, culminata con la legge 86/2024, la cosiddetta “riforma Calderoli”.
La domanda è: si tratta di un “colpo” all’unità nazionale ed ai principi di eguaglianza in termini di diritti civili e sociali o di un’occasione, al netto della propaganda politica, per responsabilizzare le classi dirigenti e renderle in grado di reggere le sfide della modernità? Di certo, la legge che porta il nome dell’ex ministro leghista, provvedimento bandiera della Lega destrutturato dopo il recente pronunciamento della Corte costituzionale, ha avuto il merito di compattare il fronte dell’opposizione, come dimostrato dalla mobilitazione che ha portato alla consistente raccolta di firme per il referendum abrogativo della normativa. Fatto di non poco conto se si considera che al centro dell’impianto riformatore, come mette bene in evidenza Ricchio, restano la definizione dei Lep (i Livelli essenziali delle prestazioni), baluardo dei diritti civili e sociali dei cittadini, e la perequazione, ovvero la distribuzione o l’attribuzione delle risorse finanziarie sulla base di criteri di equità, eliminando discriminazioni e svantaggi.