Nel periodo 1933-1941 iniziò a prendere forma il programma nazista sull’eutanasia, conosciuta con il nome Aktion T4. Il nome è l’abbreviazione di “Tiergartenstrasse 4″, via e numero civico di Berlino al cui indirizzo era situato il quartier generale dell’ente pubblico per la salute e l’assistenza sociale.
Il progetto nazista prevedeva l’eutanasia per le persone affette da malattie genetiche inguaribili e portatori di handicap mentali (ma non fisici, se non per casi gravi), considerate dai nazisti come “vite indegne di essere vissute“. Si stima che il numero di vittime sia tra le 60.000 e le 100.000.
Per quanto riguarda la sola terza fase dell’Aktion T4, i medici incaricati di portare avanti l’operazione decisero di uccidere il 20% dei pazienti presenti negli istituti di cura, per un totale di circa 70.000 vittime. A ogni modo, l’uccisione di tali individui proseguì anche oltre la fine ufficiale dell’operazione, ovvero il 1º settembre 1941, portando il totale delle vittime a una cifra che si stima intorno ai 275.000 e non di meno di 200.000 secondo altre fonti.
L’Aktion T4 era anche chiamato “programma eutanasia” da chi collaborava all’operazione ed era attuato nell’ambito dell’eugenetica e dell’“igiene razziale“, argomenti molto diffusi nella Germania nazista. Il progetto, inoltre, aveva l’obiettivo di diminuire le spese statali derivanti dalle cure e dal mantenimento nelle strutture ospedaliere per disabili, poiché la priorità era il riarmo dell’esercito tedesco.
La definizione nazista di “eutanasia” si basava sul lavoro di Adolf Jost, che nel 1895 aveva pubblicato “Il diritto alla morte” e conclude:
Jost sostenne che il controllo sulla morte dell’individuo deve spettare in definitiva all’organismo sociale, allo Stato. Questo concetto è in diretta opposizione alla tradizione angloamericana dell’eutanasia, la quale sottolinea il diritto dell’individuo “a morire” o “alla morte” o «alla propria morte» come rivendicazione umana suprema. Di contro, Jost si riferisce al diritto dello Stato di uccidere: pur parlando di compassione e di alleviare le sofferenze dei malati incurabili, egli è interessato principalmente alla sanità del Volk e dello Stato.
All’inizio del XX secolo il tema dell’eugenetica era discusso in molte nazioni, tra le quali spiccavano America, Gran Bretagna e Germania. Con questo termine, si parlava di caratteristiche positive (eugenetica positiva) e caratteristiche negative (eugenetica negativa), volta all’eliminazione di quelle negative e al miglioramento della specie umana attraverso la selezione di caratteri genetici ritenuti positivi.
Nel 1895 Adolf Jost, uno dei precursori dell’idea eugenetica tedesca, in “Il diritto alla morte” sostenne il diritto dello Stato di imporre la morte all’individuo per salvaguardare la purezza e la vitalità del Volk. Ma fu agli inizi degli anni venti che il movimento eugenetico tedesco sviluppò un’ala radicale guidata da Alfred Hoche e Karl Binding. Hoche e Binding nel loro “Il permesso di annientare vite indegne di vita” pubblicato nel 1920 sostenevano l’esigenza e il diritto all’uccisione di “persone mentalmente morte“, “gusci vuoti di esseri umani“: termini che vennero sintetizzati nell’espressione “vita indegna di vita” oppure “vita indegna di essere vissuta“.
Nel Mein Kampf (1925-1926) Hitler definì chiaramente le sue idee in merito e significativamente lo fece nel capitolo “Lo Stato”, dedicato alla visione nazionalsocialista di come una nazione avrebbe dovuto “gestire” il problema.
Hitler provò una forte repulsione per l’handicap mentale, attratto com’era dai canoni di bellezza e purezza che derivavano dal suo reputarsi “artista” e dal dibattito in corso in Germania da parte del movimento eugenetico. Nelle sue discussioni con Philipp Bouhler e Hans Lammers, rispettivamente a capo della cancelleria del Führer e di quella del Reich, Hitler definiva i disabili come coloro “che si insudiciano di continuo” e che “mettono i loro stessi escrementi in bocca”.
Utilizzando metafore mediche per paragonare quelli che aveva intenzione di eliminare, Hitler si riferì agli ebrei come a un virus che doveva essere curato; allo stesso modo vedeva i disabili come un “elemento estraneo” al corpo razziale germanico: nella testa di Hitler e degli altri dirigenti nazisti l’idea di “ripulire” la razza tedesca dai sub-umani era fondamentale.
In sintonia con questa visione di Stato, il regime nazista implementò, subito dopo l’ascesa al potere, le prime leggi di “igiene razziale”. Il 14 luglio fu discussa dal Parlamento la “legge sulla prevenzione della nascita di persone affette da malattie ereditarie“, che sarebbe stata promulgata il 25 luglio 1933, 5 giorni dopo il Concordato con la Chiesa cattolica.
Questa legge stabiliva la sterilizzazione di persone affette da malattie mentali (o presunte tali) tra le quali schizofrenia, epilessia, cecità, sordità, corea di Huntington, ritardo mentale. Inoltre prevedeva ala sterilizzazione per gli alcolisti cronici.
Una prima stima effettuata del Ministero dell’Interno, basata sui dati forniti dai medici all’interno delle case di cura, si aggirava intorno alle 410.000 persone da sterilizzare; lo stesso Ministero, però, prevedeva un aumento di dati nel proseguimento del programma.
Dell’applicazione della legge fu incaricato il Ministero dell’Interno attraverso speciali “Tribunali per la sanità ereditaria” formati da tre membri: due medici e un giudice distrettuale. I Tribunali avevano il compito di esaminare i pazienti nelle case di cura, negli istituti psichiatrici, nelle scuole per disabili e nelle prigioni per stabilire quali fra essi dovevano essere sterilizzati e procedere successivamente all’operazione. I responsabili degli istituti visitati (medici, direttori, insegnanti, ecc.) avevano l’obbligo legale di riferire ai funzionari dei Tribunali i nomi di coloro che rientravano nelle categorie da sottoporre a sterilizzazione.
Nonostante le numerose proteste popolari e i ricorsi presentati dai parenti dei pazienti, si stima che tra il 1933 e il 1939 siano state sterilizzate tra le 200.000 e le 350.000 persone.
L’eugenetica nazista non colpì gli individui affetti da esclusivi problemi fisici (ad esempio, impossibilitati a camminare), ma interessò le persone con deficit intellettivi, problemi mentali e psichiatrici e affette da malattie ereditarie. Dopo il 1937, le politiche di riarmo e la necessità di manodopera fecero in modo che molti pazienti risultassero “utili”, facendo calare il numero di sterilizzazioni.
La maggior parte dei medici tedeschi non protestò contro l’applicazione della legge che, in sintonia con le idee del tempo, reputavano sostanzialmente corretta. Le idee sulla sterilizzazione coatta però non erano proprie del movimento nazionalsocialista, che pure le espresse nella sua forma più estrema. L’idea di sterilizzare coloro che soffrivano di disabilità ereditarie e di considerare un comportamento «asociale» anch’esso ereditabile, era ampiamente accettato e vigevano leggi di sterilizzazione coatta anche negli Stati Uniti, in Svezia, in Svizzera e in altri paesi.
Subito dopo il varo del programma di sterilizzazione coatta, Hitler espresse il proprio favore all’uccisione dei malati inguaribili, delle «vite indegne di vita». Il dottor Karl Brandt (medico personale del Führer) e Hans Lammers testimoniarono al termine del conflitto la volontà di Hitler di lanciare un programma di eugenetica già nel 1933 e la sua consapevolezza che tale progetto non sarebbe stato probabilmente compreso dall’opinione pubblica tedesca.
Lo scoppio della guerra permise a Hitler di realizzare il progetto che accarezzava da tempo. La guerra addusse anche nuove giustificazioni all’idea di Hitler: i malati, anche se sterilizzati, continuavano a dover essere ricoverati in appositi istituti e, di conseguenza, a occupare spazi e risorse che avrebbero potuto essere utilizzati per i soldati feriti e per gli sfollati delle città bombardate. Essi venivano alloggiati e nutriti a spese dello Stato e impegnavano parte importante del tempo dei medici e del personale infermieristico; tutto questo era stato a malapena tollerato dalla dirigenza nazionalsocialista durante gli anni di pace, ma ora risultava assolutamente inconcepibile.
Furono progressivamente chiusi gli istituti medici religiosi, contrari al programma di sterilizzazione, e i pazienti furono trasferiti negli istituti medici statali, andando a peggiorare il progressivo sovraffollamento e andando ad aumentare le possibilità propagandistiche delle campagne a favore dell’eugenetica.
Nel periodo 1933-1939 il regime nazista preparò l’opinione pubblica attraverso un mirato programma propagandistico, preparando opuscoli, film e poster in cui si mostrava il costo di mantenimento degli istituti medici preposti alla cura dei malati inguaribili e si affermava che il denaro risparmiato poteva essere speso con più profitto per il “progresso” del popolo tedesco “sano”.
Alcuni cortometraggi in merito alla propaganda sono:
Questa pratica è mostrata anche nel film italiano La vita è bella di Roberto Benigni, in cui si elogia la bravura dei bambini tedeschi a risolvere i problemi di matematica come quello riportato qua sotto:
Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno. Uno storpio 4,50, un epilettico 3,50. Visto che la quota media è di 4 marchi al giorno e i ricoverati sono 300.000, quanto si risparmierebbe complessivamente se questi individui venissero eliminati?
Un altro esempio è tratto dalla pubblicazione intitolata “Tu e il tuo popolo” (Du und dein Volk) che veniva distribuita agli studenti al termine del ciclo scolastico obbligatorio, al raggiungimento del quattordicesimo anno d’età. Significativamente, anche in questo caso, il paragrafo riportato che tratta della legge sulla sterilizzazione si trova nel capitolo relativo ai rapporti tra individuo e Stato ed è inserito subito dopo “Il problema ebraico” e seguito da “La grande importanza del tasso di natalità”. Si ripete anche qui lo schema classico nazionalsocialista di “eliminazione” dei “geni negativi” (ebrei, disabili, ammalati, asociali) e la “riproduzione” di quelli “positivi” (e vincenti nel processo di selezione naturale).
Ovunque la natura sia lasciata a se stessa quelle creature che non possono competere con i loro vicini più forti sono eliminate dal flusso della vita. Nella battaglia per l’esistenza questi individui vengono distrutti e non si riproducono. Questo (processo) si chiama selezione naturale. I selezionatori di animali e piante che vogliono [ottenere] particolari caratteristiche eliminano sistematicamente quegli (elementi che dispongono di) tratti indesiderati e “procreano” (solo) quelle creature con i geni voluti. La “procreazione” è selezione artificiale.