
(di Elisabetta Stefanelli) RENATO MINORE, TUTTO IMPARAMMO DELL’AMORE (La Nave di Teseo, pag. 85, euro 18,00) – ”Sdraiati all’aperto/ in terrazza o in spiaggia/ nel buio indicibili di stelle/ dinnanzi al mare nero/ dove è festa ogni barca,/ restare una due ore/ leggere rileggere/ quella pagina del libro/ del mondo”. A leggere e rileggere quella pagina del mondo ci prova Renato Minore, giornalista, scrittore, critico letterario, in questo nuovo libro di poesie dal titolo eloquente, ”Tutto imparammo dell’amore”, appena uscito per La Nave di Teseo.
Ma non è facile trovare segnali positivi in questa pagina di mondo, dove si è corrosi dai dolori personali, segnati da quelli emotivi, dilaniati da quelli della storia. Se forse, come scrive Minore, ”l’universo (o chi per esso)/ ci ha creato/ per avere qualche buona/ informazione che lo riguardi,/ ora che uccidono uomini/ come mosche/ con il dolore che li innaffia,/ il momento è propizio/ per sparigliare ogni dato/ nell’entropia universale?”. Sono significativi in questo senso anche i titoli dei capitoli in cui il libro è suddiviso, La bella coppia, La quiete dopo la tempesta, Istruzioni per l’uso della battaglia, Post e altro, L’esercizio dei patimenti, dove il guerreggiare investe la sfera privata e quella pubblica.
Attraversando il senso della parola scritta tra la Letterina, di antica memoria, che dà il titolo ai primi versi (”Caro Ale,/ quando il cuore può parlare/ non occorre prepararsi.”) fino all’IA (”Ora che tu puoi scrivere/le cose che io scrivo”) che prova a sostituire il poeta con un meccanismo tecnologico senza sentimenti. Passando per il presente, con Instagram e Facebook, da cui nemmeno il poeta può avere scampo, tra la guerra di Gaza e Il gran male che divora il corpo. Quello che sembra dominare è lo sconcerto e la paura: ”e ho paura di questa mia paura./Perché dovrei infine dirti/ nei trucchetti della tua esistenza/ il poco della mia che resta; /quel bagattello d’atomi che s’annulla”.
Un ”esercizio dei patimenti”, come scrive giustamente Minore, dove l’anima è trascinata da un corpo metafora di un mondo che cade a pezzi, dove la salvezza è solo in alcuni sprazzi di lettura – da Dante a Silvia Plath, da Cavalcanti a Canetti a Lacan – che forse però sono solo illusioni momentanee.
Così come quel cinema che entra a sprazzi, dalle gambe che si accavallano di Sharon Stone, o alla musica con la voce di Ornella Vanoni. Ma non sono incursioni salvifiche, solo intromissioni come momentanee illuminazioni. Tutti ”siamo quello che raccontiamo”, frammenti sparsi della nostra esistenza, di un passaggio che nel racconto può diventare altro.
Parole come antidoto certo, perché pure nel dolore che incombe la forza della scrittura non permette di lasciarsi andare fino in fondo, perché i versi, anche disperati, sono sempre un’ancora di salvezza. E in queste pagine di Renato Minore è sempre e comunque la grazia della poesia a vincere. Che poi non è che quell’amore che troviamo nel titolo.