
(di Massimo Nesticò) MAURIZIO PILOTTI, ‘IL MASSACRO DELLA CASCINA – VILLARBASSE E GLI ULTIMI FUCILATI’ (Giunti, Pag 240, Euro 15,90).
È una storia sbagliata. Una storia di novembre. Di campagna e di nebbia. Di Nord e Sud. Di ‘roba’ e avidità. Di pietà mancata. Di una strage “in cold blood”. E di uno Stato che fu spietato per l’ultima volta. L’esordiente Maurizio Pilotti mette mano ad uno dei delitti più efferati del Dopoguerra italiano col suo ‘Il massacro della cascina – Villarbasse e gli ultimi fucilati’ (Giunti editore) dando anima e profondità ai protagonisti che si muovono tra il Piemonte e la Sicilia in un tempo sospeso tra la fine del conflitto mondiale e la nascita della Repubblica.
L’anno è il 1945. Il luogo è Villarbasse, una ventina di chilometri ad ovest di Torino. “Uno di quei villaggi della campagna torinese che sono immersi nella storia, ma ancora fuori dalla modernità”, nella definizione di Giorgio Bocca che seguì il fattaccio e assistè di persona all’atto finale. Stringendo ancora il campo la scena si svolge alla Cascina Simonetto, un’azienda agricola. Lì, il 20 novembre, una cena a base di bagna cauda nella casa padronale del proprietario Massimo Gianoli viene bruscamente interrotta dall’irruzione di quattro banditi a volto coperto. Doveva essere un colpo ‘pulito’, senza spargimenti di sangue, “una cosa liscia come bere acqua fresca alla fonte vecchia di Mezzojuso”. Ma qualcosa va storto. Ad uno dei quattro si sposta il travisamento che gli celava il volto. È Francesco Saporito (in realtà il vero nome, si scoprirà poi, è Pietro Lala), che per qualche mese aveva lavorato alla cascina ed era quindi il basista, oltre che la mente, della rapina. Era dunque conosciuto. Da qui la decisione di uccidere tutti i possibili testimoni: Gianoli, l’affittuario con la moglie, domestiche e lavoranti. Dieci persone. L’unico risparmiato è il piccolo Pierino, un bimbo di due anni e mezzo.
I cadaveri vengono nascosti, i banditi – siciliani di Mezzojuso – si dileguano come fantasmi e solo dopo 8 giorni di ricerche infruttuose, errori investigativi e la pressione popolare crescente, il ritrovamento dei corpi nella vecchia cisterna della cascina fa emergere la strage. Ed i particolari macabri che l’hanno segnata.
L’autore con scrittura avvolgente e mimetica riporta il lettore in quell’angolo gli Piemonte tra partigiani che si rinventano una nuova vita, attività che ripartono e scorciatoie per sfuggire alla fame. Ci sono gli odori, i sapori, i dialetti delle vittime, la bagna cauda e la fritada. Nello stesso ambiente – per loro straniero e ostile – si muovono i carnefici, i quattro di Mezzojuso, i “napoli” come vengono chiamati indistintamente i meridionali. In testa Saporito/Lala, finto scemo di guerra, in realtà freddo pianificatore del colpo.
Pilotti ricostruisce accuratamente con stile che tradisce il suo retaggio da nerista di cronaca un true crime che si conclude – lo spoiler è nel titolo – con la fucilazione degli assassini alle Basse di Stura, l’ultima volta che in Italia è stata applicata la pena di morte.