(di Elisabetta Stefanelli) CATHERINE CLEMENT E JULIA KRISTEVA, ‘IL FEMMINILE E IL SACRO’ (Donzelli, pp. 207, euro 27,00.
Traduzione di Jessy Simonini) Era il 7 novembre del 1996 quando Catherine Clement e Julia Kristeva, la prima filosofa, scrittrice, critica letteraria, la seconda filosofa e psicanalista, prendono carta e penna e decidono di dare vita ad uno scambio di lettere alla vecchia maniera. Si conoscono e stimano, ma si confrontano anche su opinioni molto diverse già dagli anni Sessanta ed hanno una visione abbastanza eretica rispetto alle loro contemporanee femministe. “Ti propongo una prima pista – scrive Clement – cancellata dal passare dei secoli. Il sacro nelle donne forse esprime un ribellione istantanea che attraversa il corpo, e che grida. Sta a te chiarirmi le idee sulla sua porosità”.
Si chiamano dunque questa volta ad un dialogo su un tema complesso, su cui loro sono le prime a non avere una risposta: ‘Il femminile e il sacro’. Ne nasce questo libro affascinante, ora ripubblicato da Donzelli a vent’anni di distanza, che invita ad un riflessione su temi erroneamente desueti. È prima di tutto infatti un viaggio mistico, perché, come scrive Clement, “in un percorso intimo e professionale, a un certo punto si ha voglia di occuparsi dell’essenziale, al riparo dalla solitudine e senza la stretta del gruppo”. Qui le due autrici danno prima di tutto testimonianza del loro nomadismo, si scrivono da Dakar ad Oxford, da Parigi a Le Thoureil, o Ars-en-Ré, ma soprattutto di un nomadismo culturale dove il tema del sacro femminile, e ovviamente maschile, viene ricercato attraverso le testimonianze e le forme di religiosità o ateismo dall’Africa all’India, da New York agli esclusivi circoli britannici con i loro riti, da Madre Teresa alle imprenditrici nere statunitensi, dall’animismo fino ovviamente alla religioni monoteiste.
“Per quanto mi riguarda, non vedo che cosa le donne possano guadagnare dal sacerdozio, diventando come i preti, officianti fedeli e riconosciute del culto del padre e del figlio. A cosa serve questa omologazione agli uomini?”, si chiede Julia Kristeva scrivendo alla sua amica corrispondente. Quello che è chiaro è che tutto l’impianto femminista delle due filosofe nega questa omologazione e cerca, nel sacro ma non solo, una forma di affermazione femminile che mantenga la sua peculiarità che piuttosto deve diventare comprensibile ad un mondo che non l’accetta e spesso la etichetta come follia, “isteria”. Scrive Catherine Clement: “Mi sono accorta che non ti ho risposto sul tema della parità. Per come viene portata avanti, mi sembra regolata dall’universo della separazione dei sessi, in un’uguaglianza che ha una prospettiva molto maschile. Per quanto mi riguarda, so che è necessaria, ma per me è un ripiego. Ho paura che attraverso la parità la macchina della divisione finisca per rendere quel ‘piccolo alito’ di cui parli un flato da niente. La disposizione delle donne verso il sacro ben si attaglia alla rivolta più dura, all’eroismo insurrezionale, all’entusiasmo del momento, insomma agli squarci del sociale.
Far passare tutto questo a livello legislativo, nella rappresentanza parlamentare, è un passaggio un pò sgradevole per l’ideale, ma vabbè”.